[03/02/2010] News

Rampini: per uscire dalla crisi ci vuole l'umiltà asiatica

FIRENZE.  Nella sua "lectio magistralis" tenuta ieri a Firenze nel corso del convegno "Compreresti rifiuti?", Federico Rampini (Nella foto) noto giornalista, corrispondente di Repubblica ha portato le sue testimonianze di "nomade" che sono alla base delle tesi espresse nel suo libro "Slow economy. Rinascere con saggezza". La saggezza, come è intuibile, è quella orientale, asiatica, cinese in particolare, considerato che l'autore che ha vissuto per anni a Pechino, è affascinato da quel mondo. Rampini ha dovuto spiegare subito quella che almeno all'apparenza è una contraddizione: l'economia cinese non è certo slow anzi con una crescita del Pil di 8,7 punti percentuali nel 2009 si potrebbe definire fast economy.

«Con questi numeri è fuor di dubbio che ci siano rischi ad esempio per l'ambiente ma i passi avanti di quel paese proprio in questo settore sono notevoli- ha sottolineato Rampini-Proprio nel 2009 la Cina è diventato il primo produttore mondiale di turbine eoliche e ha superato la Germania nella produzione di pannelli solari. Warren Buffett il miliardario americano le cui scelte fanno "tendenza" negli Usa, crede nella green economy e per sostenere la ricerca a favore dell'auto elettrica ha investito quote in una società cinese.

La Cina - ha continuato il giornalista - sta diventando l'incubo per Obama che ha fatto della green economy una bandiera e ora teme che gli Stati Uniti dalla dipendenza dagli stati arabi per il petrolio, passino a quella dei pannelli solari "made" in China».

 Il quadro economico globale è "triste", secondo il Fondo monetario internazionale ci aspettano anni di lacrime e sangue e l'Europa non può competere con i "motori" asiatici almeno su certi piani. Sarkozy lo ha capito e a Davos- ha raccontato Rampini- ha provato la via d'uscita dichiarando che il Pil per i paesi occidentali non è più utile e fuorviante. Siamo d'accordo, intanto però molti paesi europei sono schiacciati dal debito pubblico e si rischia di andare verso un continuo abbassamento delle attività, una riduzione netta in tutti i settori, anche nella sfera pubblica con la quasi certezza che a pagare siano molte persone. «Questa fase che rischia di essere il "new normal" è quella che porta ad un decrescita che è solo impoverimento- ha ripreso Rampini- non ce lo possiamo permettere, non è un orizzonte positivo. Esiste l'alternativa seguendo il metodo asiatico che è quello dell'umiltà, quella che quei paesi hanno avuto nei confronti dell'occidente per 50 anni: copiare, imparare, assorbire, emulare, apprendere selettivamente per inserire in un sistema di relazioni a priorità diverse che ha portato a cambiamenti nei rapporti di forza: gli allievi hanno superato i maestri e i "cervelli" cinesi e indiani che sono anche a guida delle Università statunitensi sono richiamati e stanno tornando nei paesi d'origine. Ora tocca a noi, con umiltà, seguire quella strada».

Rampini ovviamente non ha disconosciuto l'impatto ambientale della Cina dovuto alla dimensione demografica (Pechino è grande come il Belgio e ha il doppio dei suoi abitanti) ma ha sottolineato come le fasce sociali acculturate, quelle dello sviluppo, della Cina moderna abbiano un comportamento innato volto al consumo frugale, presente anche nel nostro Dna ma che abbiamo perso. Il bicchiere si può vedere anche mezzo pieno: «Qualcosa ora si sta muovendo nel paese più antiambientalista del mondo, gli Usa, quello che negli anni passati ha disconosciuto il valore vero delle merci abbassandone il prezzo e aumentandone l'imballaggio, che ha favorito la crescita a dismisura di quei centri commerciali che ora noi stiamo copiando, che ha deindustrializzato il lavoro. Ora, lentamente, negli Usa sta facendo tendenza un nuovo modello volto al consumo frugale. Qualcosa cambia nell' "Impero" e ricordo che New York in questi due anni è stata salvata dall' "ammortizzatore sociale" della cultura». La cultura, nella sua più ampia accezione, è investimenti in ricerca per una nuova industria "green", per la valorizzazione della qualità dei prodotti dove anche noi (Europa ed Italia) possiamo competere.

Ci vuole pazienza «e dare ad Obama il tempo necessario- ha concluso Rampini- del resto Roosevelt per mettere in pratica il cambio di paradigma del suo New deal dopo la crisi del 1929 ha impiegato 12 anni». Speriamo che la velocità dei processi di oggi non infici questo percorso.

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