[27/01/2010] News

Gli affari (militari) dell'Italia con la Cina all'epoca della censura autoritaria di Google

LIVORNO. Mentre nel mondo tiene banco l'affaire di Google e il governo comunista di Pechino si rifiuta di aprire una qualsiasi finestra di libertà di opinione, mentre lo scontro con gli Usa sulla libertà e la democrazia si fa duro e guarda ai nuovi equilibri del mondo, che non passano più dall'accettazione del modello liberista, ma dalla sua coniugazione autoritaria o democratica, il nostro segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, il generale di corpo di armata Aldo Cinelli, è volato a Pechino per incontrare il vice-presidente della Commissione militare centrale della Cina, Guo Boxiong, per consolidare le relazioni militari tra la democratica Repubblica italiana e l'autoritaria Repubblica popolare cinese.

L'agenzia ufficiale Xinhua scrive che «Guo Boxiong ha fatto l'elogio dei progressi delle relazioni bilaterali nel corso di questi ultimi 40 anni, ricordando le basi politiche solide e una cooperazione sostanziale in diversi settori. La Cina è pronta a lavorare con l'Italia per far progredire il partenariato strategico globale tra i due Paesi».
Scordati ed archiviati tra le corbellerie elettorali anticomuniste, i bambini bolliti e mangiati dalle Guardie rosse evocati da Silvio Berlusconi, Italia e Cina si apprestano, nel disinteresse della stampa democratica o meno, a rafforzare i loro legami (e i loro affari) nel settore più scivoloso e pericoloso delle relazioni internazionali, quello degli armamenti.

Mentre si parla della anarchica ed indifferente democrazia virtuale di Google violata, la Cina rafforza l'esercito e le armi che servono a difendere la sua potenza interna, il suo eterno regime, il suo controllo dell'opinione pubblica, a rafforzare armi che, finito il confronto ideologico-militare di confine con i compagni-nemici dell'Urss, rappresentano ancora certamente un deterrente (anche nucleare) verso i "nemici" esterni e per tenere sotto controllo i bollenti confini marittimi pieni di materie prime e i "fratelli" ribelli di Taiwan, ma che, soprattutto, negli anni successivi al crollo del socialismo reale euro-asiatico, quelli dell'arricchimento e della devastazione ambientale, sono servite solo a reprimere nel sangue la pericolosa protesta democratica dei ragazzi di oiazza Tienanmen e le richieste di libertà di tibetani ed uiguri.

L'esercito cinese, rappresentato da Guo con cui il nostro segretario generale della Difesa ha colloquiato amabilmente nel suo ultimo ma significativo viaggio all'estero (a febbraio verrà sostituito da Biagio Abrate, capo di gabinetto di La Russa), è parte integrante, anzi è il principale ed insostituibile pilastro di sostegno, della sorridente e inflessibile dittatura cinese, fornisce quadri, manganelli e baionette al partito.

D'altronde l'Italia sta attuando modalità "cinesi" nei suoi rapporti con i regimi più chiacchierati del pianeta, lasciando briglia sciolta (e non è certo una novità) alle nostre aziende partecipate. E' di queste ore la notizia che, mentre in Venezuela Hugo Chavez da un'ulteriore stretta chiudendo nuovamente la maggiore Tv dell'opposizione e la gente riscende in strada, l'Eni firma altri lucrosi contratti con l'impresa petrolifera statale Pdvsa per realizzare un'avanzata tecnologia di idrogenazione per la conversione di oli pesanti in prodotti di alta qualità che permetterà al Venezuela di sfruttare e vendere meglio le sue enormi riserve di petrolio e gas.

Eni è pronta anche con il progetto di centrale idroelettrica da 1 GW e a realizzare le infrastrutture di distribuzione del Gnl nella penisola di Guiria Anche qui Eni e Pdvsa assicurano che gli accordi «Rafforzano e consolidano ulteriormente un'alleanza strategica che consentirà lo sviluppo di importanti risorse per il Venezuela e ne accrescerà il valore attraverso l'uso di tecnologie innovative che potranno essere utilizzate in futuro nei giacimenti di petrolio e gas del Paese», nei quali l'Eni ha quasi sempre estese partecipazioni, ben accette dal regime rivoluzionario bolivariano di Caracas.

La Cina ed altri Paesi stanno approfittando sicuramente della difficile situazione che il neoconservatorismo Usa ha lasciato in eredità a Barack Obama, costringendolo ad una guerra di trincea contro l'integralismo islamico che continua ad aprire brecce dagli alberghi devastati dalle bombe di Bagdad agli altipiani yemeniti, dal Pakistan all'Afghanistan, dalla Somalia all'Africa sahariana. Gli Usa diventati poliziotti del mondo (con una trasformazione privatistica del loro esercito e l'appalto dei lavori sporchi a mercenari di ogni nazionalità), rischiano di scordarsi che la vera sfida politica del futuro è quella della democrazia, ed anche della sua qualità.

Sembra averlo capito Hillary Clinton che ha affrontato a brutto muso la censura planetaria cinese respingendo le pretese di Pechino di mettere il bavaglio a Google, non sembrano averlo capito gli epigoni italiani della democrazia liberista, non sembrano curarsene le imprese (ed ancor meno le multinazionali) che non vedono più nei regimi autoritari e nelle dittature un nemico del libero mercato, ma piuttosto un affidabile alleato che fornisce manodopera docile ed a buon prezzo ed un "ambiente" politico molto disponibile a soddisfare i loro bisogni senza troppe pretese ambientali e domande di rispetto dei diritti dei lavoratori .

Il problema, per i democratici di oggi e di domani, sembra quello di mantenere aperti spazi di libertà e dissenso, di difendere la qualità della democrazia dal nascere e proliferare di "democrazie autoritarie", dallo sdoganamento di dittature come quella cinese.
Il problema è soprattutto quello, da parte dei "democratici", di cominciare a riprendere una diversa narrazione del mondo, a prospettare un futuro migliore. Ma sembra sempre più difficile dire le cose come stanno, affrontare i problemi per quello che sono. Gli elettori-consumatori frutto della spettacolarizzazione della politica-marketing non sono pronti a sentirselo dire, non vogliono sentirselo dire. Obama lo sta sperimentando sulla propria pelle, pagando in consenso e senatori, una moderatissima narrazione della complessità, compresa quella ambientale e del cambiamento climatico.

Intanto, mentre le "masse" di marxiana memoria delle democrazie non vogliono farsi dire quanto la loro crisi sia avanzata, mentre ci nascondiamo le difficoltà o le rimandiamo a tempi migliori per non infastidire elettori e consumatori, la Cina e gli altri Pesi autoritari marciano spediti, diventano ammirati modelli, schivano crisi e conflitti, blindano porte e Paesi e giocano liberamente in trasferta, occupando banche, industrie e borse di quel che era una volta l'odiato democratico occidente diventato improvvisamente fragile e complice, con le sue imprese e multinazionali del liberalismo casalingo e da liberismo senza remore e pregiudizi politici e democratici all'estero.

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