[22/01/2010] News

De Boer: nessuna garanzia per un accordo sul clima nel 2010

LIVORNO. Yvo de Boer, il segretario esecutivo della Framework Convention on Climate Change dell'Onu (Unfccc), ha convocato la sua prima conferenza stampa, in webcast da Bonn, ad oltre un mese dall'imbarazzante flop di Copenhagen  ed ha detto che proprio quel che è accaduto alla Cop 15 nella capitale danese, «rende soltanto il compito più urgente» per il mondo che deve affrontare i cambiamenti climatici.

Per de Boer le tre cose fondamentali che ha prodotto Copenaghen sono: 1) ha portato il cambiamento climatico al più alto livello di governo; 2) L'accordo di Copenaghen riflette un consenso politico sul lungo termine, la risposta globale ai cambiamenti climatici; 3) I negoziati hanno proposto una serie quasi completa di decisioni per attuare una rapida azione per il clima.

Secondo il segretario dell'Unfccc «Siamo in un periodo di riflessione che permette ai Paesi di avere il tempo utile e necessario per riprendere le loro discussioni con gli altri. Se i paesi guarderanno al follow-up dei risultati di Copenaghen con calma, con lo sguardo fermo sul vantaggio dell'azione collettiva, hanno tutte le possibilità di completare il lavoro».

Fino a qui l'ottimismo della volontà, ma poi dalla conferenza stampa è emerso il pessimismo della ragione, o forse di una realtà che il flop di Copenhagen ha depresso con una specie di non detto liberi tutti che è diventato un tutti contro tutti. Secondo de Boer c'è il rischio che i negoziati mondiali sul cambiamento climatico non si trasformino in un patto giuridicamente vincolante nemmeno quest'anno in Messico.

De Boer è più pessimista dopo aver fatto il punto con un certo numero di Paesi  dopo il summit di Copenhagen. L'umore non è buono tra chi voleva un vero accordo sul climate change mente lo difendono l'idea che il pacchetto approvato a Copenhagen è già un risultato, anche se non è vincolante.

La sfibrante maratona della Cop 15 ha prodotto un "Copenaghen Accord" che ora molti Paesi tra quelli che lo hanno considerato il male minore cominciano a pensare che serva solo ad un piccolo e potente gruppo di poco più di una ventina di Paesi che però rappresentano circa l'80% delle emissioni globali di gas serra. L'accordo è stato scritto da un paio di dozzine di capi l'ultimo giorno dei colloqui, come la riunione di due settimane, ostacolati da lotte testuali e segnalazioni, il collasso di fronte.

«La mia impressione, dopo aver parlato finora con circa 15 o 20 paesi, è che in genere la gente vuole giungere a una conclusione sui "twin negotiating texts" in Messico e poi essere in grado di decidere come vogliono un pacchetto che dia risultati in termini giuridici».

De Boer ha sottolineato che l'accordo di Copenaghen non sostituisce il modello negoziale dell'Unfccc: E' uno strumento politico che ha un ampio sostegno al più alto livello possibile e che possiamo molto utilmente implementare per risolvere le questioni ancora aperte che abbiamo nel processo negoziale».

De Boer ha confermato di aver chiesto a tutti i Paesi di precisare entro il 31 gennaio se vogliono essere "associati" all'accordo di Copenaghen oppure quali tipo di iniziative prevedano.

Ma nemmeno questa data è vincolante: «Questio non è un termine coercitivo - ha detto il sempre più accomodante segretario dell'Unfcc - ma semplicemente mi aiuterà a scrivere un rapporto sui risultati di Copenaghen. Si può descrivere come una soft deadline, ma non c'è niente di mortale in questo. Se non si riesce a rispettarlo, sarà ancora possibile aderire all'accordo di seguito. In questo senso, ai Paesi non viene chiesto di firmare l'accordo, non si chiede di assumere un obiettivo giuridicamente vincolante, non saranno legati alle azioni che essi presentano al segretariato. Sarà l'indicazione dei loro intenti ed uno strumento importante per far progredire i negoziati».

L'atteggiamento prudentissimo e cedevolissimo di de Boer deriva dal fatto che è ben consapevole della sfiducia montante tra i Paesi in via di sviluppo  e che sa bene che alcuni importanti blocchi, come quelli dei governi progressisti latinoamericani dell'Alba,  dei piccoli Stati insulari dell'Aosis e diversi Paesi africani, hanno già annunciato che non metteranno la loro firma sotto l'Accordo di Copenhagen.

La maratona verso il Messico è già piena di ostacoli e l'Unfccc non vuole arrivare al traguardo credendo di avere, come a Copenhagen, la medaglia già in tasca, per poi trovarsi con le squadre più forti che chiudono  le porte dello stadio ed allungano il percorso. Ma dalle parole di de Boer emerge con evidenza una cosa sconsolante: il pallino dei negoziati non è più in mano all'Onu (se mai davvero lo è stato) ma agli Usa ed ai loro "alleati-nemici" del Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) che trattano e si scontrano con tutti gli altri, Europa compresa.

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