[15/01/2010] News

Il Basic si incontra per progettare il post-Copenhagen

LIVORNO. Il gruppo delle quattro economie emergenti del Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) che insieme agli Usa è accusato di aver provocato il flop del summit mondiale sul cambiamento climatico di Copenhagen di un mese fa, si incontrerà il 24 gennaio a New Delhi per discutere le varie problematiche sul tappeto prima di dare il consenso definitivo all'Accordo approvato nella capitale danese.

La riunione sarà a livello ministeriale ed è probabile che ne esca una risposta comune ad una comunicazione del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che chiede ai Paesi del Basic di lavorare velocemente e diligentemente con le altre Parti della conferenza per firmare l'accordo di Copenhagen entro il 31 gennaio.

Secondo il quotidiano The Indu «L'idea ha preso piede dopo un chiarimento da parete dell'ufficio delle Nazioni Unite che l'accordo è un documento politico e non poteva essere considerato come un documento giuridicamente vincolante, anche se coloro che accettano impegni vincolati a livello nazionale per il clima lo hanno annunciato appena concluso l'incontro sul cambiamento climatico. Mentre la Danimarca ha apparentemente cercato di informare tutte le Parti della segreteria dell'United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) sulla sua disponibilità ad aderire all'accordo, c'erano ancora alcune riserve da parte indiana sul fatto che si ritenesse che la comunicazione implicita dell'accordo di Copenaghen fosse giuridicamente vincolante oppure che fosse la base per negoziare un nuovo accordo giuridicamente vincolante, che sarebbe il contrario di quanto è stato deciso di tra gli Usa e i Paesi Basic».

Proprio su questo insisteva Jairam Ramesh, il ministro dell'ambiente di New Delhi,  che ora assicura su The Indu: «l'India aveva chiesto alcuni chiarimenti che sono arrivati per iscritto, che dicono che l'accordo è un documento politico e non un documento giuridicamente vincolante».

Un'ulteriore diminuzione di importanza per un accordo che a Copenhagen è stato presentato come un primo passo essenziale di un processo che porti ad forte trattato internazionale sui cambiamenti climatici robusta sulla base dei dati forniti dall'Unfccc.

Cina e Sud Africa hanno già confermato la loro partecipazione all'incontro del 24 gennaio, il Brasile ha assicurato la sua presenza, ma non si sa a quale livello. L'incontro servirà anche ad elaborare una strategia del Basic  in vista dei climate change talks che si terranno a maggio a Bonn in preparazione della Cop 16 del Messico.

La riunione del 24 gennaio non prevede nessun ordine del giorno ufficiale, ma è chiaro che l'alleanza geopolitica emergente tra i quattro grandi paesi in via di sviluppo, che ha condotto la trattativa  finale con gli Usa in Danimarca, vuole definire in tutta segretezza e tranquillità una posizione comune riguardante la riduzione delle emissioni di gas serra e i finanziamenti per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per l'adattamento al climate change, cercando così di ricucire con i più riottosi e convincerli a firmare l'accordo di Copenaghen. Intanto, Ba Ki-moon sta pensando di creare un gruppo di lavoro per organizzare lo start-up financing in modo da garantire che i paesi sviluppati comincino effettivamente a stanziare i 30 miliardi di dollari che hanno promesso.

Fino ad ora meno di 30 Paesi sui 192 che aderiscono all'Unfccc, hanno detto che firmeranno l'accordo di Copenhagen, molti sono fortemente irritati per i 100 miliardi di aiuti promessi per l'adattamento al global warming e per la decisione di non impegnarsi in tagli delle emissioni più consistenti delle emissioni.

Un malcontento che può far saltare l'accordo Basic-Usa, visto che secondo le regole dell'Onu è necessario un consenso molto più ampio per ratificare le decisioni di Copenhagen. I vari Paesi hanno tempo fino al 31 gennaio per  firmare l'accordo e fornire all'Onu informazioni sui loro impegni specifici e sulle iniziative che intendono adottare per ridurre le emissioni. Ma la crescente confusione riguardo alla posizione giuridica dell'accordo raggiunto a Copenaghen fanno dire a molti governi di non essere in grado di firmare perché devono ancora consultare i loro parlamenti.

Un'altra grossa grana viene dal Sudamerica, dove la Bolivia si è messa a capo di un gruppo di Paesi poveri e dell'alleanza bolivarista Alba, apertamente contrari all'accordo a Copenaghen, ed ha invitato governi, scienziati, Ong, organizzazioni dei popoli indigeni che vogliono un accordo molto più impegnativo sul clima a partecipare ad una contro-conferenza che si terrà a Cochabamba dal 20 al 22 aprile.

In un'intervista a The Guardian l'ambasciatrice boliviana a Londra, Maria Souviron, ha spiegato che «L'invito è  ai Capi di stato, ma anche e soprattutto ai capi della società civile. Pensiamo che i movimenti sociali e gruppi non governativi e le persone che non hanno possibilità di decisione, abbiano un ruolo importante nei negoziati sul clima».

E' chiaro che l'incontro boliviano è destinato a consolidare la posizione comune dei 7 Paesi "rivoluzionari" che aderiscono ad Alba  e che servirà a lanciare definitivamente l'idea del tribunale internazionale per i crimini ambientali, così come quella dei "diritti di Pacha Mama", la madre terra. «Questo consentirebbe a tutte le entità, dall'uomo alle specie animali in via di estinzione, un eguale diritto alla vita - aveva detto a Copenhagen il presidente boliviano Evo Morales - Il nostro obiettivo è quello di salvare l'umanità e non solo una metà dell'umanità. Siamo qui per salvare la madre terra. Il nostro obiettivo è quello di ridurre il cambiamento climatico al di sotto di un grado centigrado. Sopra questo, molte isole scompariranno e l'Africa subirà un olocausto. La vera causa del cambiamento climatico è il sistema capitalista. Se noi vogliamo a salvare la terra, allora dobbiamo mettere fine a questo modello economico».

Chissà cosa ne penseranno a New Delhi il 24 gennaio i nuovi grandi del pianeta che vedono vacillare sotto i colpi degli eternamente piccoli e del nuovo socialismo sudamericano il loro patto di ferro con gli Usa?

Torna all'archivio