[12/01/2010] News toscana

Irpet, scenario tendenziale: emissioni toscane al 2030 non dissimili dal 2005

FIRENZE. Nell'evidenziare come sia stato (anche) il forte tasso di assorbimento da parte dei sistemi naturali a far sì che, come visto nei giorni scorsi, le emissioni climalteranti siano cresciute, in Toscana, solo di un moderato 1,4% dal 1990 al 2005, Irpet sottolinea come questo sia un tipico esempio di «ecosystems service»: in particolare, siamo di fronte alla possibilità, in questo specifico caso, di attribuire un valore effettivo (quantificato cioè con precisione) ai servizi resi dagli ecosistemi, valore che si esprime in termini sia di emissioni (che, ricordiamo, in regione sarebbero cresciute "alla fonte" del 18%, ma l'assorbimento da parte dei sistemi naturali - 16,6% - ha portato il dato attuale al valore citato) sia in termini economici associati al «contributo al raggiungimento degli obiettivi di riduzione di gas clima alteranti previsti nei protocolli di intesa internazionali in tema di cambiamento climatico».

Comunque, osservando le emissioni macrosettore per macrosettore, emerge che se «tra i processi che maggiormente contribuiscono alla produzione di emissioni atmosferiche, la produzione di energia, la combustione in caldaie e il trasporto rappresentano per l'Italia oltre l'80% del totale», in Toscana «il contributo complessivo di questi processi è ancora più rilevante (l'87%), in quanto minori risultano i contributi dei processi relativi ad agricoltura e trattamento e smaltimento di rifiuti; queste due componenti rappresentano infatti il 6% delle emissioni regionali, mentre a livello nazionale la quota sale al 18%».

Più specificatamente, la quota di emissioni attribuita al settore manifatturiero è esattamente (33,3%) un terzo del totale, mentre «il resto delle imprese industriali producono un altro 20% (19,1%, nda) di emissioni, rappresentate quasi esclusivamente dalle emissioni generate dalla produzione e distribuzione di energia». Infine, «un ulteriore 20% di emissioni viene prodotto nell'intero comparto dei servizi».

Allo stesso modo in cui Irpet aveva posto a confronto l'intensità emissiva e la rilevanza economica (popolazione, prodotto interno) delle varie regioni, evidenziando così una certa natura virtuosa della Toscana da questo punto di vista (vedi link in fondo alla pagina), Irpet applica questa metodologia comparativa anche ai singoli settori economici: e ciò che emerge (vedi parte superiore dell'immagine) è che «la rilevanza in termini economici risulta maggiore di quella in termini di emissioni atmosferiche per i settori delle costruzioni e dei servizi (trasporto escluso); il contrario avviene per l'energia, l'industria manifatturiera, l'agricoltura e il trasporto».

Considerando che l'immagine comprende anche le emissioni di polveri sottili oltre a quelle climalteranti, si possono vedere quindi sotto la linea diagonale i settori produttivi più "virtuosi", cioè che producono emissioni (sia di gas climalteranti che di inquinanti "tradizionali") minori, in percentuale, del loro peso in termini economici. Al di sopra della linea sono invece i settori in cui la relazione è inversa. Come nota Irpet, e come si vede agilmente nell'immagine, «la contrapposizione tra le attività del terziario e quelle del settore primario e secondario appare evidente».

Particolarmente significativo appare il fatto che «circa quattro quinti delle emissioni di gas clima alteranti e di polveri sottili sono prodotte dall'attività delle imprese e della amministrazione pubblica (77,3%, in Toscana), mentre solo un quinto (22,7% in Toscana) è imputabile direttamente all'attività delle famiglie, principalmente riconducibili al consumo di beni e servizi per il trasporto e il riscaldamento». Questi valori, da una parte, evidenziano che in Toscana i consumi delle famiglie incidono di più sulle emissioni rispetto a quanto avvenga globalmente in Italia (dove le emissioni da parte del sistema produttivo sono l'80,1%, mentre è del 19,9% l'incidenza delle famiglie). Dall'altra parte, il dato conferma che il perseguimento della sostenibilità, da questo punto di vista, passa più per il sostegno ad evoluzioni del sistema produttivo e amministrativo in direzione di minori emissioni, piuttosto che per azioni "educative" dirette alle famiglie, azioni che sono - pure - da attuarsi ma che all'atto pratico incidono di meno in valore assoluto (vedi parte inferiore dell'immagine).

Ma come andranno le cose, secondo lo scenario tendenziale disegnato da Irpet, nei decenni futuri? Al 2030, col verificarsi di alcuni fattori, le emissioni potrebbero essere non molto dissimili da quelle del 2005 (e quindi, in un certo senso, del 1990). Ciò si potrebbe verificare in un contesto ipotetico di «crescita bassa, che riprende il suo lento percorso dopo le forti riduzioni registrate nel 2009 (è di oggi la notizia del calo dei consumi elettrici del 6,7% su scala nazionale rispetto al 2008, nda) e che segue una lenta transizione dal manifatturiero verso il terziario». Se a questo si aggiungerà «un graduale raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica, risparmio energetico, adozione di tecniche in grado di abbattere le emissioni», allora è plausibile che potremmo raggiungere il 2030 mantenendo le emissioni «sotto il livello registrato nel 2005 per quasi tutto il periodo considerato».

E' chiaro, però, che ciò potrà essere ottenuto solo con una reale evoluzione del sistema produttivo e della Pubblica amministrazione, che non potrà non passare attraverso «l'individuazione della qualità ambientale come fattore strategico» e, quindi, tramite «l'incentivazione della ricerca in questo settore».

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