[12/01/2010] News

Centrali atomiche, le conseguenze sulla salute per chi abita o lavora nelle vicinanze?

GROSSETO. Non è soltanto per gli incidenti che possono avvenire all'interno di un reattore che gli impianti nucleari rappresentano un serio rischio per la salute. Anche il continuo rilascio a dosi minime - e quasi sempre sotto i limiti regolamentari- di radionuclidi nell'ambiente circostante dai sistemi di raffreddamento dell'impianto (vapore dalle turbine e acqua dai sistemi di raffreddamento) può essere responsabile di patologie tumorali soprattutto nell'età infantile.

Lo scrive oggi sulle pagine Salute di Repubblica Francesco Bottaccioli, presidente onorario della società di psiconeuroendocrinoimmunologia, riportando i risultati di uno studio condotto dall'ente governativo tedesco per il controllo della radioattività (quello che dovrebbe essere la prossima agenzia nucleare nel nostro paese) che ha messo sotto controllo tutte e 16 le centrali nucleari funzionanti in Germania.

Lo studio mette in evidenza una correlazione tra l'aumento d'incidenza di tumori di tipo leucemico infantile (entro i cinque anni di età) , con la vicinanza residenziale ad una centrale atomica. I bambini che vivono in un raggio di cinque chilometri da un reattore nucleare hanno infatti- secondo questo studio- un aumento del 76% del rischio d'incidenza di contrarre leucemie rispetto ai coetanei che vivono in un raggio distante oltre cinquanta chilometri.

Lo studio, condotto nel 2008, è stato confermato - scrive Bottaccioli- da metanalisi recenti che indicano l'esistenza di una correlazione positiva tra l'incidenza di tumori infantili (in particolare leucemia) e la vicinanza ad una centrale elettronucleare.

Anche se in nessuno degli studi si giunge a dare una spiegazione del fenomeno, in un recente articolo comparso su Environmental health- scrive ancora Bottaccioli- si ipotizza che i radionucli rilasciati nell'ambiente circostante dal vapore acqueo e dai sistemi di raffreddamento degli impianti possano essere assorbiti dal suolo e dalle acque in cui vengono sversati ed entrare nella catena alimentare. Sarebbero poi le madri esposte a queste sostanze radioattive a trasmettere ai figli- durante la gravidanza- una sorta di imprinting cellulare capace di indurre fenomeni tumorali già nella prima infanzia.

Un meccanismo davvero inquietante se lo si collega a tutti i siti d'impianto che esistono sul pianeta e al rischio di incremento tumorale in età infantile nei bambini che vivono in vicinanza di queste centrali. E che pone un ulteriore e urgente domanda riguardo al destino delle popolazioni che vivono, a distanza di quasi 24 anni dall'incidente alla centrale di Chernobyl, in territori con livelli di radioattività ancora elevatissimi.

«Nessuno tra coloro che è sopravvissuto all'esposizione alle radiazioni ha ricevuto una dose sufficiente ad ucciderlo. - scriveva su The Guardian lo scorso luglio Tony Nicholson, vice rettore del Royal college of radiologists e decano della sua facoltà di radiologia clinica - Ma molti subiranno comunque gli effetti di questa esposizione per il resto della loro vita».

«E molti di quelli che avevano pensato di esserne usciti indenni, o con effetti minimi- ha aggiunto Nicholson- ora stanno vedendo le conseguenze sui loro figli».
Conseguenze che non vorremmo mai vedere e che sembra sempre più evidente non si verificano solo in caso di incidenti come quello della centrale ucraina, ma per il normale esercizio di qualunque centrale nucleare.

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