[05/01/2010] News

Oltre il Pil

ROMA. Il più contestato tra indicatori economici spesso messi in discussione è senz'altro il Pil. Per il quale da tempo gli economisti cercano un'alternativa. Proprio per questo in Francia si è messa all'opera una commissione presieduta da due premi Nobel. Con risultati però deludenti per chi si aspettava un nuovo indicatore sintetico che sostituisse completamente il prodotto interno lordo. Anche perché si continua a non rendere davvero espliciti gli obiettivi che si vogliono perseguire. Un contributo più originale potrebbe invece arrivare proprio dall'Italia.

Gli indicatori economici suscitano sempre molte discussioni: le cifre delle organizzazioni internazionali vengono interpretate puntualmente in maniera opposta da governo e opposizione, vedi recentemente il superindice Ocse o il presunto superamento del Pil italiano su quello inglese. Oppure ne vengono messi in discussione i criteri e i metodi di misura. L'indicatore più contestato è certamente il Pil, la misura economica per eccellenza. Da molto tempo gli economisti cercano un'alternativa.(1) Il dibattito ha fruttato una ricca letteratura economica e si è diffuso con l'arrivo dei movimenti no e new global a cavallo del 2000. Le proposte lanciate sono state molte. L'unica alternativa che ha avuto un vero successo è l'Indice di sviluppo umano (Isu o Hdi in inglese) che prende in considerazione la speranza di vita, l'educazione e il Pil e che viene calcolato annualmente dalle Nazioni Unite. Ciononostante, il Pil continua a godere di ottima salute, non avendo rivali veramente in grado di scalzarlo dal più alto gradino delle statistiche economiche, nonostante i difetti comunemente riconosciuti. (2) Queste critiche, condivise dalla maggior parte degli economisti e della classe politica, non hanno mai portato a un riesame delle statistiche nazionali.

LA COMMISSIONE STIGLITZ-SEN-FITOUSSI

Nel gennaio 2008, però, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto a una commissione composta da una trentina di economisti di rilevanza mondiale e presieduta dai premi Nobel Joe Stiglitz e Amartya Sen di studiare e proporre alternative al Pil. Il lungo rapporto conclusivo è stato presentato lo scorso settembre. (3)
Il risultato è deludente per coloro che si aspettavano un nuovo indicatore sintetico che sostituisse completamente il Pil. Le attese erano forse eccessive: ci si aspettava una nuova misura semplice e diretta come il Pil ma allo stesso tempo più complessa, per cogliere i tanti aspetti - prodotti e non prodotti - che influenzano il nostro benessere. La commissione ha, invece, dato dodici raccomandazioni piuttosto generali: il benessere materiale deve essere valutato al livello di nucleo familiare, tenendo in considerazione il reddito e il consumo e non tanto la produzione come accade ora con il Pil.

Si deve dare una maggiore enfasi alla distribuzione del reddito, del consumo e della ricchezza: un aumento medio non corrisponde per forza a un aumento per tutti, come Trilussa già notava a inizio Novecento. La commissione chiede, inoltre, di estendere la misura ad attività non di mercato. Questo punto riguarda il calcolo delle attività e servizi in famiglia, per esempio la cura degli ammalati e degli anziani, un tema sempre più di attualità. Raccomanda, inoltre, di prendere in considerazione la multidimensionalità della misura del benessere che tocca le condizioni economiche ma anche l'educazione, la salute, la qualità della democrazia, le reti sociali, l'ambiente, la sicurezza. Una gran parte del rapporto si occupa poi delle questioni di sostenibilità ambientale per misurare la crescita al netto della distruzione di risorse e i rischi del cambiamento climatico.

LA STRADA È ANCORA LUNGA

Al di là dei comprensibili entusiasmi per i risultati di una commissione che per la prima volta ha portato a un livello politico di primissimo piano un tema dibattuto soprattutto in ambito accademico, la strada da fare è ancora molta. Mancano a oggi, metodi condivisi di misura delle variabili qualitative come reti sociali, qualità della democrazia e sicurezza. Non c'è, inoltre, accordo su come aggregare le diverse componenti. (4) La maggior parte degli economisti ritiene necessario proporre una serie d'indicatori per misurare lo sviluppo e non un semplice indice sintetico: dal punto di visto scientifico si tratta di una scelta indiscutibile, ma dal punto di vista politico e mediatico è una rinuncia pesante. Il Pil gode ancora di così buona salute proprio grazie alla sua semplicità ed è lo stesso motivo per cui l'Isu, poco amato dall'accademia, ha invece avuto un relativo successo. Rinunciare in partenza a trovare un indicatore sintetico rende impossibile un vero cambio di paradigma nella misura del progresso nella società.

Anche per questi nuovi indici il metodo utilizzato è sempre lo stesso: si disegna un quadro teorico e si cercano gli strumenti di misura, senza esplicitare veramente gli obiettivi che si vogliono perseguire. Misurare il progresso è la base per perseguirlo. Tuttavia, finora gli obiettivi sono di fatto stabiliti ex post, nascosti nella struttura dell'indicatore. Nel caso del Pil, si insegue la crescita continua senza veramente chiedersi se questo corrisponde agli obiettivi che ci prefiggiamo.
È più innovativo, anche se non per forza più facile da realizzare, quindi, quanto proposto da Salvatore Monni e Alessandro Spaventa alla conferenza Isae del maggio scorso: anziché affidare la scelta (implicita) delle priorità sociali ai tecnici che costruiscono gli indicatori, è più opportuno immaginare indici a partire da espliciti obiettivi politici dei paesi interessati.

(5) Gli autori fanno un esempio a livello europeo partendo dall'agenda di Lisbona e costruendo un indice basato su competitività, coesione sociale e ambiente. Gli indicatori che immaginano Monni e Spaventa vengono ritagliati su misura, diventando strumenti per il perseguimento di alcuni obiettivi (più o meno) democraticamente stabiliti da un paese e non un fine in sé. Si tratta di un approccio nuovo e sicuramente più trasparente.
Il neo presidente dell'Istat Enrico Giovannini ha animato gli sforzi dell'Ocse per immaginare alternative al Pil ed è stato membro influente della commissione francese. Ora è a capo della sala macchine italiana di produzione dati. Chissà che una piccola rivoluzione non venga dal nostro paese questa volta.

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(1) Già del 1973 William Nordhaus e il Nobel James Tobin si chiedevano se il Pil non fosse ormai obsoleto nel famoso articolo "Is growth obsolete?". Nel 1934 lo stesso Simon Kuznets, ideatore dei conti nazionali e di conseguenza del Pil, ammoniva che il benessere di una nazione non poteva essere misurato semplicemente con il suo indice.
(2) È utile ricordare che il Pil è una misura di produzione in valore (i prezzi sono l'unità di misura) di beni e servizi finali (quindi non beni utilizzati per produrre altri beni, per evitare un doppio calcolo) prodotti all'interno di un certo paese in intervallo di tempo.
(3) Il rapporto finale e i documenti di lavoro della commissione Sen-Stiglitz-Fitoussi sono disponibili in inglese e francese sul sito www.stiglitz-sen-fitoussi.fr.
(4) Una delle critiche più forti all'Isu contesta proprio la media aritmetica che si usa per ponderare le tre componenti.
(5) In attesa della pubblicazione del working paper, si possono scaricare le slide della presentazione qui.

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