[04/01/2010] News

I rifugiati ambientali: emergenza acuita dai cambiamenti climatici

FIRENZE. Gli ambientalisti lo denunciano da tempo: nei prossimi anni e decenni assisteremo a migrazioni di popolazioni a causa delle calamità naturali. Il fenomeno non è certo nuovo, ma l'accelerazione imposta dai cambiamenti climatici repentini dovuta agli impatti antropici e i conseguenti e sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, potrebbe destabilizzare ancor di più le aree "deboli" del pianeta dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. Gli esperti di fenomeni migratori ritengono che nei prossimi decenni, decine di milioni di persone potrebbero diventare "rifugiati ambientali" nei Paesi più poveri a causa di disastri ricorrenti.

«I rifugiati ambientali hanno perso tutto. Si muovono verso i villaggi vicini e le città più immediatamente accessibili», ha dichiarato al New York Times Rabab Fatima, rappresentante dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) per il sud-est asiatico, ma non si escludono neppure migrazioni ad ampio raggio verso le aree più ricche del pianeta. Gli accentramenti comunque più frequenti saranno verso le grandi città del Sud del mondo che vivono già oggi situazioni di disordine urbanistico, con periferie in cui si concentrano sacche di povertà dove non sono garantiti diritti fondamentali come quello per l'acqua ed il cibo. Giacarta e Manila secondo il Wwf sono le megalopoli più a rischio ma tra i Paesi più esposti (come ricordato nell'inchiesta del NY) c'è anche il Bangladesh. La capitale Dacca, si trova pochi metri sopra il livello del mare ed è regolarmente colpita da cicloni e inondazioni. Oggi la megalopoli con i suoi attuali 12 milioni di abitanti e circa 400.000 persone che vi si riversano ogni anno, è la principale destinazione dei rifugiati bengalesi colpiti da disastri meteorologici.

Come stabilito al vertice di Copenhagen il Bangladesh rientra  tra quei paesi destinatari dei fondi per aiutare i più esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Complessivamente si tratta di 100 miliardi di dollari che però non saranno distribuiti prima del 2020 ed il rischio che questi soldi non siano usati per la prevenzione ma per riparare i disastri avvenuti è abbastanza alto.

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