[14/12/2009] News

Prodotti a Km zero? Sì grazie, ecco perché

GROSSETO. Le piazze di molte città in Italia sono caratterizzate sempre più negli ultimi tempi  da mercati in cui si vendono prodotti a chilometro zero, ovvero coltivati e magari anche trasformati in un raggio di breve distanza da dove vengono venduti. Un modo per avere garanzia di maggiore freschezza del prodotto stesso e la coscienza a posto per il fatto che il trasferimento di ciò che arriva sulle tavole non ha prodotto grandi quantità di emissioni di Co2; aspetti questi che stanno determinando un vero successo dei mercati a km zero che Coldiretti ha contribuito fortemente a diffondere. Un fenomeno che ha portato anche alla stesura di un disegno di legge a riguardo, promosso dai due deputati del Pd (eletti in Toscana) Ermete Realacci e Susanna Cenni e cofirmato da un nutrito numero di deputati di tutti gli schieramenti politici, che non trova però i favori di Alessandro De Nicola che dalle colonne della pagina dei commenti del Sole 24 Ore fa un attacco all'arma bianca sia della proposta di legge sia del fenomeno stesso del consumo di prodotti a Km zero.

Le motivazioni addotte da De Nicola sono molte e vanno dal fatto che il disegno di legge «è antieconomico e implica nuove tasse per tutti» dal momento che - spiega - «se fosse stato profittevole arare e seminare i terreni nel raggio di 70 km qualcuno lo avrebbe fatto» e che per «convincere un imprenditore a impugnare la vanga i contribuenti dovranno perciò sovvenzionarlo, direttamente o indirettamente poco importa». Ignorando evidentemente che nel raggio di 70 chilometri, quasi ovunque nel nostro paese c'è qualcuno che ara e semina o alleva capi di bestiame da cui  produrre materia prima da trasformare e che sempre in quel raggio di azione c'è anche qualcuno che preferisce sovvenzionare indirettamente (ovvero acquistando) quell'imprenditore potendosi quindi avvalere di prodotti locali anziché di merci che provengono da lontano, se non altro per un fattore di maggior gradimento.

«Il danno è ulteriore - avverte De Nicola - perché i soldi così investiti avrebbero potuto essere invece impiegati per attività più redditizie che avrebbero creato ricchezza e lavoro» quali non lo spiega ed evidentemente ignora (anche questa volta) che la produzione agricola e la trasformazione di prodotti agrolimentari produce reddito per chi già le pratica ed è un classico esempio di economia dei territori, quella indicata come una strada vincente non solo dai «no global che sfilano a Copenhagen», ma anche da economisti premi Nobel.

De Nicola si preoccupa comunque anche del Terzo mondo e per questo la strada che indica è l'apertura dei mercati: «abbattere le barriere doganali è l'atto politico più a favore dei poveri che si possa immaginare; d'altronde, creare ricchezza è il modo migliore per rendere più pulita la produzione. Chi ha fame non ha denaro per le norme antinquinamento».

E da questo punto di vista De Nicola conclude il suo articolo citando studi che contestano  «l'equazione tra lontananza e inquinamento» e inneggiando alla libertà di scelta. Ma come del resto esistono studi che ancora contestano i cambiamenti climatici e che appunto anche il prediligere un prodotto locale anziché esotico attiene alla libera scelta e che la legge non pone né obblighi né divieti .

Non ha intenzione di replicare Realacci come non ha intenzione di farlo Coldiretti, che sottolinea che se si fosse voluto mettere a confronto tesi diverse si sarebbe potuto chiedere un contributo da mettere a fianco della stessa pagina del quotidiano.

Ma non può esimersi comunque Stefano Masini, responsabile ambiente e territorio dell'associazione dei produttori agricoli che sta promuovendo in tutto Italia la diffusione della distribuzione di prodotti a km zero, dal commentare «un'analisi che tutto concede al mercato, il quale ha dimostrato che da solo è incapace di governare tutte le esternalità prodotte da un sistema globale». Così come non può rinunciare a difendere una legge come quella proposta da Realacci e Cenni , che mira a «riqualificare i consumi sulla base di indirizzi e di criteri da privilegiare e non di obblighi da imporre».

«Che inserisce criteri- ci ha spiegato ancora Masini- volti a far corrispondere sempre più un prodotto alla stagione e ad evitare modifiche del prodotto stesso che permettano di fare lunghi spostamenti senza perdere le caratteristiche di vendita, come avviene per la buccia del pomodoro che viene ispessita a tale scopo».

Una proposta di legge che serva a «mettere in guardia i consumatori, non certo a impedire, da acquisti che hanno poca ragione di esistere come le ciliegie che vengono dal Cile a dicembre percorrendo 12mila chilometri, emettendo 12 kg di Co2 e consumando 7 kg di petrolio per ogni chilogrammo che arriva sulle nostre bancarelle. O i limoni dall'Argentina in un periodo come questo in cui sono abbondanti le produzioni nostrane» ci dice ancora Masini, indicandoci quanto potrebbe essere ancora lungo l'elenco.

Promuovere il consumo locale- aggiunge il responsabile ambiente e territorio di Coldiretti, ha anche «un riflesso importante per i paesi poveri» quel terzo mondo che ha a cuore De Nicola, «perché le comunità dei paesi poveri sono costrette a introdurre e forzare colture per soddisfare le esigenze dei paesi ricchi».

Rimanendo poi sulla secca legge di mercato, Masini sottolinea che «il mercato premia e sono sempre più numerosi gli acquirenti di questi prodotti i cui prezzi, grazie anche ad un protocollo siglato con le associazioni dei consumatori, vengono controllati e adeguati al sistema richiesto dal Ministero».

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