[21/07/2009] News

Il dilemma del lago Kivu

ROMA. Il lago Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, è in una condizione davvero particolare. È un lago a rischio. Per motivi naturali. E a causa dell'uomo, che cerca di sventare la minaccia naturale.

Partiamo dal rischio naturale. Il lago Kivu, nelle cui vicinanze vivono due milioni di persone, è sovrastato da un vulcano, il Monte Nyiragongo, ancora attivo: con un'eruzione nel 2002 ha ucciso 100 persone e ha costretto a lasciare le proprie case altre 30.000 congolesi. Un'eruzione del vulcano può svegliare il mostro che dorme: nelle acque del lago. Il mostro che dorme è una soluzione satura e stratificata di acqua, sali e gas. In breve: il lago trattiene 300 chilometri cubici di anidride carbonica e 60 chilometri cubici di metano.

Il rischio è evidente. Se, con un'eruzione ravvicinata, il vulcano rompe l'equilibrio di quelle acque sature del lago, potrebbe provocare una diffusione rapida - una vera e propria esplosione - dei gas trattenuti dalle acque, saturare l'atmosfera intorno al lago e uccidere migliaia di persone. Non è un'ipotesi di scuola. Il ricordo va al 1986, quando il lago Nyos, in Camerun, all'improvviso rilasciò una nuvola di anidride carbonica che saturò l'aria e uccise, per asfissia, 1.700 persone. Ma si calcola che il Nyos tratteneva nelle sue acque una quantità di anidride carbonica pari a 0.3 massimo 1 chilometro cubo di anidride carbonica: da trecento a mille volte meno del lago Kivu. E non conteneva metano. Insomma il lago Kivu in Congo rappresenta una minaccia capace di produrre danni di diversi ordini di grandezza superiori al suo fratello minore, il lago Nyos del Camerun.

Il problema, dicono alcuni esperti, non è sapere «se» il rilascio avverrà, ma «quando» e «come». Il lago Kivu infatti ha più volte, nel corso degli ultimi 5.000 anni, rilasciato i suoi gas. E ora li sta accumulando con un ritmo di crescita superiore al 3% per decennio. E si presume che l'equilibrio si romperà spontaneamente entro il secolo. Il rischio naturale non è imminente, ma non è affatto remoto.

E adesso veniamo all'uomo. I governi del Congo e del vicino Rwanda stanno valutando la possibilità di un rilascio controllato del metano per la produzione di energia elettrica. Il progetto, dicono, ha due forti motivazioni. Una è diminuire il rischio naturale. L'altra è, appunto, produrre energia elettrica a basso costo per due paesi che hanno un forte bisogno di sviluppo.

Vi risparmiamo i dettagli tecnici e - anche - i conflitti di interesse in gioco. Ma ci sono due scuole di pensiero che si confrontano su questo argomento. La prima è degli esperti che appoggiano il progetto sulla base di una semplice equazione: meno metano c'è nel lago, meno elevato è il rischio che venga rilasciato per cause naturali. La seconda scuola di pensiero è espressa, tra gli altri, da un geofisico italiano, Dario Tedesco, vulcanologo della seconda università di Napoli e grande conoscitore del lago Kivu: l'equilibrio che trattiene i due gas nel lago è molto delicato. C'è la possibilità concreta che - anche se tutte le procedure vanno bene - sottraendo metano alle acque non si favorisca la fuoriuscita incontrollata dell'anidride carbonica. Insomma, la cura potrebbe scatenare la malattia.

Che fare, in queste condizioni? Aspettare non si può: perché nel giro di qualche decennio il rilascio avverrà. Intervenire neppure, perché potrebbe accelerare gli eventi. Forse la cosa migliore è iniziare l'evacuazione preventiva della popolazione. Soluzione a cui, per ora, nessuno sta pensando.

Gestire il rischio non è questione semplice. Nel caso del lago Kivu è questione di una difficoltà enorme.

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