[03/12/2009] News

Per l’Ue Copenhagen non sarà una partita tra cinesi e americani

LIVORNO. Il New York Times del primo dicembre titolava: «Europe bypassed on Climate summit» e continuava scrivendo che «Nessun soggetto politico ha spinto con più forza dell'Unione europea perché la conferenza sui cambiamenti climatici di Copenaghen abbia successo. Ma pochi giorni prima dell'apertura del meeting sponsorizzato dalle Nazioni Unite, gli europei sono stati in gran parte messi ai margini, a guardare come i due più grandi emettitori  di gas serra del mondo, la Cina e gli Stati Uniti, cercano di impostare le regole del gioco». E Peter Haas, un professore di scienze politiche dell'Università del Massachusetts, non usa giri di parole diplomatici: «Francamente, l'Unione europea non ha il peso politico per determinare l'esito di Copenaghen». Jass ammette che gli Usa hanno ancora molto lavoro da fare a Copenaghen e che sono sottoposti ad una pressione per «mantenere in vita le prospettive di un accordo globale, in modo che i business leader e gli elettori europei pensino di essere sulla buona strada per sfruttare i mercati delle tecnologie verdi del futuro».

Gli americani pensano che l'Europa in realtà arrivi divisa a Copenhagen e digeriscono male le critiche fatte alla loro "prudenza". Il New York Times mette in evidenza che «Quasi da un giorno all'altro, il financial district di Londra è diventato il global hub del commercio di gas serra. I produttori di pale eoliche in Danimarca fioriscono. Innovative industrie del solare sono sorte in Germania e in Spagna. Ma il più importante blocco di imprenditori-utilities, i produttori di automobili ed acciaio e le aziende chimiche, hanno aspramente attaccato aspetti importanti della politica perché potrebbe mettere a repentaglio la competitività industriale dell'Europa.
Colosso siderurgico ArcelorMittal, e Royal Dutch Shell, il gruppo petrolifero e gasiero, sono tra le aziende che hanno minacciato di rallentare gli investimenti all'interno del blocco delle 27 nazioni a meno che il resto del mondo industrializzato, e gli Stati Uniti in particolare, adottino carbon-capping systems simili»

Gli europei sono accusati di essere troppo tiepidi verso gli impegni presi da Obama di ridurre le emissioni Usa del 17% entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005. Il capo dei negoziatori Usa a Copenhagen Todd Stern, ce l'aveva sicuramente con gli europei quando qualche tempo fa disse che c'era troppa gente «al di là dello stagno» che non comprende appieno quanto sia stato difficile portare il Congresso Usa ad approvare il taglio dei gas serra. Secondo Stern i suoi colleghi europei devono avere «Una comprensione più sofisticata delle limitazioni e delle frustrazioni del sistema americano all'interno del processo di negoziazione del trattato sul clima». Agli americani non è piaciuta nemmeno il disappunto espresso dall'Unione europea per la proposta cinese di diminuzione di emissioni  per punto di Pil della settimana scorsa, perché non andrebbe oltre il "business as usual". L'Ue ribatte che senza il suo pacchetto clima energia  20-20-20,  Brasile, Russia, Giappone, Indonesia e Corea del Sud non avrebbero fatto proposte più ambiziose sui tagli di gas serra prima di Copenaghen.

Il New York Times evidenzia però le crepe nascoste nell'apparente compattezza dell'Unione europea: con Gran Bretagna, Danimarca, Olanda e Slovenia che guidano l'avanguardia di chi è disposto a fare tagli più sostanziosi che proporranno anche al vertice Ue del 10 e 11 dicembre, in contemporanea con la prima settimana della conferenza di Copenaghen, e che spingono per approvare un trattato che sostituisca Kyoto prima della sua scadenza nel 2012, «Ma i leader di Italia e Polonia, che ha una grande industria mineraria, oltre un certo numero di paesi dell'Est europeo, hanno il timore che un tale passo sarebbe troppo costoso. Questo ha creato la possibilità di una imbarazzante disputa pubblica tra le nazioni Ue proprio quando il blocco dirigente sperava di far valere la sua leadership».

Anche il capo della delegazione parlamentare dell'Ue a Copenhagen, l'europarlamentare tedesco Jo Leinen, dice che «Questa é ovviamente una situazione sfortunata per Copenhagen. Si è trasformata un po' in una partita di ping pong tra Cina e Stati Uniti, dove ciascuno guarda solo l'altro»

Per il commissario Ue all'ambiente, Stravros Dimas la partita è rischiosa e «Le offerte aggregate dai Paesi sviluppati sono ancora ben al di sotto del livello di ambizione necessario. Quindi bisogna premere sui Paesi con obiettivi deboli perché li migliorino».

L'Ue chiede che i Paesi sviluppati riducano le loro emissioni del 25 - 40% per cento entro il 2020, ma  secondo quanto ha detto ieri all'Hindustan Times, Rajendra Pachauri, il capo del gruppo di esperti intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), «un obiettivo collettivo di riduzione delle emissioni da parte dei paesi industrializzati entro il 2020 sarebbe già buono se fosse il 20%». Attualmente la media delle proposte dei Paesi sviluppati si ferma al 13,3%.

Secondo il presidente della Commissione europea Barroso «I leader mondiali a Copenaghen devono prendere le necessari decisioni coraggiose per fermare il cambiamento climatico prima che raggiunga i pericolosi e potenzialmente catastrofici livelli previsti dalla comunità scientifica. Dobbiamo cogliere questa occasione per mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi prima che sia troppo tardi. Ma Copenaghen  è anche un'occasione storica per riprendere la road map verso una società globale low-carbon, innescando così un'ondata di innovazione che possa rivitalizzare la nostra economia attraverso la creazione di nuovi settori di crescita sostenibile e di lavori "green collar". L'Unione europea ha dato il ritmo con il nostro impegno unilaterale a ridurre le emissioni del 20% entro il 2020 e con le nostre proposte di finanziamento climatico per i Paesi in via di sviluppo. Saremo pronti ad aumentare le nostre riduzione di emissioni al 30% se i nostri partner, sia nei Paesi sviluppati che nel mondo in via di sviluppo, si assumono la loro giusta quota dello sforzo complessivo».

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