[03/12/2009] News

Fiat, governo e opposizione: ai minimi Termini anche di idee...ma ci sarebbe un germoglio

GROSSETO.  Il braccio di ferro sul futuro dell'impianto Fiat di termini Imprese si fa sempre più aspro; da una parte l'amministratore delegato Marchionne che tiene duro sulla sua linea di chiudere la produzione auto siciliana perché neanche a fronte di una aumento di produzione e degli incentivi all'acquisto di auto promessa dal Governo, potrebbe tenersi in termini economici; dall'altro i sindacati e la politica che non possono accettare la perdita di ulteriori posti di lavoro reso ancora più inaccettabile soprattutto in un momento di crisi economica come quello attuale.

Eppure la vicenda di Termini Imprese potrebbe diventare emblematica di come utilizzare la crisi per cambiare un modello di politica industriale, quale quella dell'automobile  che da tempo deve fare i conti con una eccedenza difficilmente compensabile con incentivi al consumo.

Il ministro dello Sviluppo Caludio Scajola è stato chiaro: «l'impegno che il governo chiede alla Fiat è che cresca sensibilmente la produzione auto in Italia» e su Termini Imerese il ministro ha fatto presente la disponibilità del governo «affinché ci possano essere interventi pubblici per dare più efficienza a quello stabilimento per continuare a produrre auto». Una disponibilità che non convince l'ad di Fiat Marchionne a tornare sui suoi passi riguardo alla chiusura di produzione di automobili siciliana dopo il 2011, facendo al contempo trapelare invece la disponibilità a riconvertire lo stabilimento magari in una produzione legata alle energie rinnovabili.

Ma l'ipotesi che Termini Imerese possa diventare un polo manifatturiero diverso da quello dell'auto  non viene nemmeno presa in considerazione dalla Regione Sicilia che annuncia che non vi saranno fondi dall'amministrazione se a Termini non si continuerà a produrre automobili.

E sulla stessa posizione appare essere il senatore del Pd Lumia che annuncia che non voterà gli ecoincentivi se la Fiat non cambierà idea su Termini Imerese e invita gli altri deputati del suo partito a fare altrettanto.

Secondo il senatore del Pd «ci sono tutte le condizioni e le convenienze per mantenere la produzione e rilanciare lo stabilimento di Termini Imerese: espansione dei mercati nel Mediterraneo, presenza del porto per ridurre i costi dei trasporti attraverso le autostrade del mare, cultura industriale tra i lavoratori e nell'indotto, incentivi regionali».

Condizioni che potrebbero però  essere benissimo utilizzate per fare anche altro, che non siano automobili e mantenere ugualmente una realtà industriale a Termini in grado di garantire futuro occupazionale in quel territorio.

«La domanda da farsi- dice a tale proposito Francesco Ferrante, anch'egli senatore del Pd in un articolo pubblicato oggi su Europa- è se è davvero intestardirsi nel trovare il modo di continuare a costruire automobili in quello stabilimento, il modo migliore per rispondere alle preoccupazioni dei lavoratori e delle loro famiglie o se piuttosto bisognerebbe sfruttare questa crisi drammatica per costruire un'ipotesi diversa e più solida. E' sicuro che si deve difendere con forza la vocazione industriale di Termini e che si devono chiedere garanzie molto più forti alla Fiat di quante l'azienda sino adesso sembra disposta a concedere. Molto meno credibile è chiedere che si aumenti la produzione di automobili nel nostro Paese. Dobbiamo al contrario considerare l'idea che in futuro se ne produrranno sempre meno. E, almeno in questa parte del mondo, si tratta di un futuro immediato».

«Ma allora - continua Ferrante - se questo è il futuro che ci attende, non utopia, ma realtà concreta che certo avrebbe bisogno di "visione" nelle leadership, che senso ha destinare i fondi, i contributi che alla fine verranno fuori nella trattativa tra Fiat e istituzioni (Governo e Regione), a tenere in vita artificialmente una produzione "non conveniente", rimandandone la morte inevitabile di qualche mese o al più di qualche anno?»

O al contrario «non sarebbe meglio prendere sul serio l'idea di utilizzare Termini per un polo delle energie rinnovabili dove si fa ricerca e si costruiscono materialmente gli impianti puntando con forza sull'innovazione tecnologica?».

Quindi utilizzare le risorse pubbliche per riconvertire quella parte di azienda garantendo un futuro più stabile a chi ci lavora e innescare un germoglio di nuova politica industriale al sud, che abbia possibilità di svilupparsi senza bisogno del continuo apporto di ossigeno, quale appunto può essere il settore della produzione di componenti e tecnologia nel campo delle  rinnovabili.

«Per farlo- dice Ferrante- però abbiamo bisogno di liberarci dal riflesso condizionato per cui di fronte alla crisi l'unica risposta che sappiamo trovare è la difesa dell'esistente, sempre e comunque. Un vizio non solo della destra conservatrice che nulla vuole cambiare, un vizio troppo spesso anche nostro, del centrosinistra che così manca alla sua vocazione riformista. Proviamo a liberarcene, forze politiche e sindacali, proviamo a trovare risposte originali e dense di speranza proprio a partire da Termini Imerese». 

La vicenda di termini Imprese potrebbe, allora, diventare emblematica anche per l'occasione che offre per un cambiamento di approccio politico da parte del centrosinistra per riconquistare quella che anni fa era la sua base elettorale, ovvero il mondo dei lavoratori dell'industria, che rappresentano invece ormai la base elettorale del Pdl.

Come emerge dal sondaggio Ipsos pubblicato dal Sole 24 ore di oggi infatti, il partito di maggioranza, Pdl, cresce (+3% rispetto alle europee) ed ha una base elettorale sempre più legata al mondo operaio (il 36%) e sempre più alle regioni del Mezzogiorno, dove sfiora la maggioranza assoluta. In questo sondaggio anche il Pd avanza (+4% rispetto alle europee) e mantiene un vantaggio nelle categorie del pubblico impiego, ma rimane comunque secondo al partito del premier.

«Una spiegazione al fenomeno della tenuta di Berlusconi e del suo governo»- commenta Roberto D'alimonte- si può trovare nel fatto che «in una democrazia bipolare- (come quella che emerge sempre più evidente dal sondaggio Ipsos, ndr)-il consenso va a chi sa esprimere leaderhip e unità d'intenti. Berlusconi lo ha capito da tempo. Gli altri no».

Perché non provare allora ad esprimere una leadership da parte del Pd che sappia riconquistare il mondo degli operai, offrendo loro una visione chiara e unitaria di quella che dovrà e potrà essere la politica industriale per il futuro, ovvero una politica che non potrà accontentarsi delle poche briciole di oggi senza alcuna garanzia per il domani e che non potrà che tenere conto della necessità di riconvertirla in chiave ecologica.

Torna all'archivio