[30/11/2009] News toscana

La prima ragione per cui la Toscana non puņ dirsi sostenibile

FIRENZE. La prima ragione per cui la Toscana non è sostenibile (come invece è stato detto ai "Green days") è che non c'è stata una organica politica per lo sviluppo sostenibile neanche nei momenti più alti della programmazione regionale (L.R. urbanistica 5/95 poi L.R. di governo del territorio 1/2005, PIER del 2007, creazione dell'ARPAT 1995, "Nuovo patto per lavori uno sviluppo qualificato e maggiori e migliori lavori" del 2004). Anche le migliori misure e piani di azione (es. alcuni DocUP per i fondi europei per lo sviluppo locale, ma non i Patti per lo sviluppo, mentre VIA e VAS furono attuate come farraginose procedure che annullarono la valutazione preventiva come soluzione ex ante dei conflitti ambientali) furono concepiti in modo separato senza l'integrazione delle politiche e dei piani, criterio principe della sostenibilità dello sviluppo.

Occorre ripetere ciò che diciamo da oltre vent'anni (prima del 1992 anno dell'Earth summit), perché le classi dirigenti locali stanno tornando indietro: il ricambio generazionale non si è tradotto in progresso delle istituzioni locali ma in localismo e visione a breve, particolarmente in questa fase di crisi economica, che impedisce loro di vedere come ambiente e sviluppo non sono realtà separate ma indissolubilmente connesse. Come non esiste sviluppo fondato su risorse ambientali deteriorate, così non può esistere qualità ambientale e della salute in presenza di crescita economica dissipatrice di risorse ambientali e umane.

Tali questioni, è elementare, non possono essere affrontate separatamente, ogni governo locale o istituzione per sé, con politiche disorganiche e discontinue, perché legate da un nesso inscindibile di causa - effetto.

C'è una tensione/connessione forte fra crisi ambientali e del territorio e modelli di sviluppo economico, come si vede nella gestione delle urbanizzazioni da parte dei Comuni per far cassa con gli oneri delle stesse (e vanno in crisi di bilancio quando si ferma il settore delle costruzioni). Così, in difficoltà da tempo le attività produttive, la crescita monetaria è venuta, anche in Toscana, dalla rendita fondiaria e immobiliare. E si continua così, nonostante la crisi, dalla quale l'industria uscirà con le ossa rotte, non per i conflitti ambientali ma per mancanza di capitali dirottati verso rendite e beni rifugio.

Invece, politiche sociali, economia ed ambiente devono essere integrati nei processi decisionali e normativi per proteggere l'ambiente e promuovere lo sviluppo, cioè il contrario della crescita economica fondata sull'espansione di prodotti senza qualità e della crescita del consumo e della rendita.

Per farlo occorre focalizzare i problemi ambientali, dare priorità alla valutazione e all'informazione ambientale, valutare i rischi, compiere scelte in base a precise informazioni, accrescere il ruolo della comunità scientifica e delle ONG, aumentare la cooperazione con l'industria, riconoscere diritti e responsabilità.

Ma occorre anche una ricerca libera e spregiudicata non orientata dal potere locale su cosa sia sviluppo sostenibile.

Consigliamo ad amministratori di vecchia e nuova generazione, di destra, di sinistra e di centro, a tecnici e burocrazia regionale e comunale, agli imprenditori, ai lavoratori e sindacalisti, all'associazionismo, ecc. di andarsi a leggere o rileggere il Rapporto Bruntland[1] non come residuato di archeologia ecologica ma come manuale di attualità da usare per verificare quanto effettivamente è stato fatto dal 1987 ad oggi in tema di sostenibilità. Chi ritiene la Toscana regione sostenibile (classifiche più o meno attendibili a parte) avrà amare sorprese.

 


[1] Il futuro di tutti noi, rapporto della commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo, Milano 1988

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