[17/11/2009] News

Copenhagen non sarà un fallimento. Ricordiamoci dove eravamo un anno fa...

ROMA. Pare che anche Angela Merkel, primo ministro della Germania, e Nicolas Sarkozy, presidente della Francia, siano infuriati. Certo gli ambientalisti di tutto il mondo sono delusi. Dopo molte promesse il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e il presidente della Cina, Hu Jintao, hanno fatto capire che a metà dicembre a Copenaghen ci sarà solo un impegno "politico", ma non ci sarà alcun impegno concreto a ridurre le emissioni di gas serra.

Il G2, il vertice delle due massime potenze economiche del mondo, ha decretato il fallimento di COOP 9, la nona Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti del Clima?

Nessun dubbio che la delusione ha ragion d'essere. Gli scienziati dicono che tagli drastici e immediati alle emissioni globali di gas serra sono essenziali, se vogliamo impedire che la temperatura media del pianeta aumenti di oltre due gradi, con effetti ecologici e sociali enormi. Si era sperato - si era lasciato credere - che a Copenaghen i paesi di antica e nuova industrializzazione avrebbero trovato un accordo "forte" e avrebbero sottoscritto impegni vincolati per una riduzione di almeno il 50% delle emissioni antropiche di gas capaci di alterare il clima. In Europa - in primo luogo in Germania, in Francia, in Gran Bretagna - molti ci hanno creduto e hanno spinto l'Unione ad assumere decisioni unilaterali su tagli significativi alle emissioni.

Ora tutto questo viene meno. E la delusione è forte. Il rischio che la posizione degli scettici assuma nuova forza politica anche nei paesi più consapevoli - come appunto la Germania, la Francia, la Gran Bretagna o anche il Brasile - è grande. Qualcuno in Europa potrebbe essere tentato di rimettere in discussione il "20-20-20" e le decisioni unilaterali in fatto di clima.
Eppure il vertice di Copenaghen non sarà un "fallimento totale". In Danimarca non ci sarà un mero ritorno al passato.

Ricordiamolo, quel passato. Perché è vecchio solo di un anno o poco più. Appena 12 mesi fa o poco più al timone degli Stati Uniti c'era un presidente, George W. Bush, che manifestava tutto il suo scetticismo sull'esistenza stessa dei cambiamenti climatici accelerati dall'uomo. E che, in ogni caso, non era disponibile a mettere in discussione né il «paradigma energetico» fondato sui combustibili fossili né lo stile di vita dei cittadini americani. Dall'altra parte c'era una Cina - e, più in generale, un fronte dei paesi a economia emergente - che non era granché disponibile a mettere in discussione i fondamentali della propria impetuosa crescita economica e trovava nella posizione di Bush un comodo alibi per mantenere questo atteggiamento di conservazione.

Oggi il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sostiene pubblicamente di credere nell'impronta umana sui cambiamenti del clima. Sostiene e sta avviando la transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili di energia (e al risparmio). Ha dichiarato che gli Stati Uniti dovranno tagliare entro il 2050 l'80% delle proprie emissioni di gas serra.

Nel medesimo tempo la Cina ha capito che i cambiamenti climatici rappresentano un rischio per il proprio sviluppo molto superiore ai vincoli sulle emissioni. E sta sviluppando un poderoso e avveniristico programma sulle fonti rinnovabili. Tanto che Barack Obama non ha nascosto la preoccupazione che la Cina possa superare gli Stati Uniti nell'acquisizione delle tecnologie energetiche del futuro. Entrambi i paesi stanno puntando sulla "green economy" per rifondare la propria economia alle prese con la "grane crisi" globale.

Insomma, se fino a un anno fa il «no» del G2 a Copenaghen e ai vincoli stringenti sulle emissioni era «strategico» e di principio, oggi è dettato da ragioni contingenti e «tattiche». Obama vuole chiudere la durissima partita interna sulla sanità, prima di aprire con il Congresso la partita altrettanto dura sul «clima». E la Cina non può assumere impegni vincolanti sulle emissioni senza o addirittura contro gli Stati Uniti.

Tra un anno - solo tra un anno - lo scenario potrebbe cambiare. Sia gli Stati Uniti sia la Cina potrebbero essere in grado di assumere in concreto quegli impegni che oggi dichiarano di essere disponibili ad assumere solo a livello morale.
Non è molto. Ma non è neppure un mero ritorno al passato. Per questo occorre trasformare la delusione degli ambientalisti e l'irritazione di Angela Merkel, di Nicolas Sarkozy e anche di Luiz Inacio Lula in lucida, paziente e intransigente azione politica.

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