[16/11/2009] News toscana

Ancora su sviluppo e consumo di territorio

FIRENZE. L'idea di nuovo sviluppo della società e dell'economia toscane attraverso lo stop al consumo/dissipazione di territorio, recuperando spazi e ambienti a funzioni multiple e integrate, alla sostenibilità, non è un'esigenza morale ma la convinzione che senza modificare il paradigma della crescita economica Toscana (oltre alla perdita di coesione sociale) non ci sarà alternativa al declino di uno dei territori qualitativamente più apprezzati al mondo.

Né capacità di adattamento ai cambiamenti climatici di cui una componente è anche il cambio di destinazione dei suoli, né riduzione e modifica dei nostri comportamenti che consumano territorio.
Non è un imperativo etico ma la consapevolezza che un modello economico ha chiuso il suo ciclo. E' noto che in Toscana dagli anni sessanta si è realizzato un compromesso sociale tra capitale e lavoro che ha consentito crescita economica e di occupazione, aumento dei redditi e della ricchezza come della coesione sociale e del welfare a scapito dell'ambiente e del territorio.

Un meccanismo di autodistruzione del territorio che non si ferma con la crisi della crescita poiché ritenuto capace di arricchire. Non è così: come l'economia finanziaria, quella del mattone immobilizza capitali nell'illusione dell'autovalorizzazione all'infinito finché non scoppia la bolla e il debito con cui il meccanismo si è alimentato va pagato.

Lo stop perciò non è un attacco a impresa e mercato liberi ma una regola d'oro per valorizzare il territorio fuori da un consumo banale e distruttivo, da una immobilizzazione di capitali e intelligenze e capacità imprenditoriali in rendita fondiaria e immobiliare.
Non per idealizzare la natura e la storia passata ma per orientare società ed economia toscane verso altri "motori" di sviluppo che non siano la disponibilità di territorio.

E infatti le cause per cui si sviluppa l'economia in una regione o un'area industrializzata, si trasforma o si riconverte, non sono riducibili a fatti meramente economici, ma sono sociali e politici (istituzionali), come, ad es., l'industria della seta a Lione che fu "...il risultato di un programma di sostituzione delle importazioni messo in atto da una coalizione seicentesca tra le corporazioni urbane e lo Stato mercantilista." (Sabel e Zeitlin, 1987) al fine di costringere capitali e lavoro ad orientarsi al recupero e riuso, attraverso lo sviluppo della tecnologia e del risparmio di materia/energia.

Oggi, che si ripresenta sotto altre forme il conflitto tra macchine che incorporano sempre più conoscenza e lavoratori che ne subiscono un uso scorretto che mina la riproducibilità stessa della conoscenza, ancora una volta saranno i conflitti sociali e non le tecnologie a dirimere i problemi dell'assetto futuro dell'industria in una regione come la Toscana: purché se ne abbia consapevolezza.

Torna una alternativa artigianale alla produzione di massa, anche dal punto di vista tecnologico, caratterizzata dalla sperimentazione di tecniche e organizzazioni flessibili e nuovi materiali, nuove gamme di prodotti, la ricerca di una vitalità, nuovi lavori, tecnologie, che si fonda sulla rapidità e la raffinatezza di adattamento a nuove fonti di energia rinnovabile.

Ma ancora una volta l'assetto istituzionale sarà fondamentale nella ricerca di tale flessibilità e crescita della conoscenza tenendo conto delle singole tecnologie e della base economica di ciascun settore industriale, al fine di facilitare la redistribuzione innovativa delle risorse.
Nuove dimensioni in cui far operare l'economia e la società in Toscana, investendo capitali in conoscenza e tecnologie per nuove vie di sviluppo a partire dalla indisponibilità del consumo di territorio.

 

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