[10/11/2009] News toscana

La Toscana tra specie alloctone, corridoi ecologici e pianificazione ecologica del territorio

FIRENZE. Tra gli indicatori fondamentali che descrivono un ecosistema, la sua produttività biologica primaria è particolarmente significativa, poiché essa (definibile come "la velocità con cui l'energia solare viene convertita in materia vegetale tramite la fotosintesi") indica sostanzialmente la quantità di substrato di materia che in ogni momento "entra" nel ciclo biologico degli elementi.

E' abbastanza intuibile come, in un ecosistema circoscritto (cioè in un qualsiasi biotopo occupato dalla biocenosi ad esso associata), a lungo termine si abbia una tendenza all'equilibrio tra produttività primaria e assimilazione da parte degli organismi erbivori (che "plasmano" il loro numero sulle risorse effettivamente disponibili), e che poi questo equilibrio (sia pur dinamico) si mantenga anche nel proseguimento della catena alimentare.

Questo ciclo virtuoso, però, può essere perturbato dall'arrivo (o dal rilascio) nell'ecosistema locale di specie alloctone, specialmente se la specie "nuova" è caratterizzata da un potenziale ecologico maggiore di quelle che occupano la stessa nicchia ecologica e che sono già presenti (e in equilibrio) con l'ecosistema in questione. Questo potenziale ecologico può espletarsi sotto forma di voracità alimentare (come nel caso del pesce siluro), di aggressività verso le altre specie (è il caso delle tartarughe palustri americane), di abnorme capacità riproduttiva (es. l'ailanto, per quanto attiene agli alloctoni vegetali) o di necessità di spazio maggiore a causa delle dimensioni o delle esigenze ecologiche della specie, come nel caso della nutria.

In casi come questo, e in assenza di strategie di mitigazione/contrasto alla diffusione delle specie alloctone, l'ecosistema locale in questione è destinato a lungo termine a scontare un drastico impoverimento della biodiversità, che può essere temporaneo (cioè essere solo una fase nel perseguimento di un nuovo equilibrio, che però potrebbe richiedere anche centinaia di anni per essere raggiunto) o definitivo. Da tutto questo derivano anche i problemi che l'invasione di specie alloctone causa alle attività economiche umane (es. la pesca, la selvicoltura, la stessa caccia, quando essa è appunto "attività economica", e non semplice svago), che nel tempo tendono a raggiungere anch'esse un tasso di prelievo che può essere sostenibile o (più spesso) insostenibile, ma che comunque tende più o meno a modellarsi intorno alla produttività dell'ecosistema dal quale vengono prelevate le risorse biologiche in questione.

Questa premessa è necessaria per capire quale sia il principale effetto negativo causato dalla diffusione di specie alloctone in un ecosistema. E il problema, come abbiamo riportato varie volte, è particolarmente stringente per la Toscana, una regione caratterizzata da molte aree umide (residue o artificiali) e da un forte tasso di forestazione rispetto ad altre realtà: ciò vale sia per quanto riguarda le specie vegetali (es. la robinia - Robinia Pseudoacacia - e l'Ailanto, Ailanthus altissima) sia per specie animali come il pesce siluro (Silurus glanis), la tartaruga palustre americana (specie del genere Trachemys e altre) e l'ormai celeberrimo gambero-killer o gambero della Louisiana (Procambarus Clarkii). Sono, tutte quelle citate, specie che hanno evoluto il loro potenziale ecologico (in termini di alimentazione, spazio, aggressività, riproduzione) in ecosistemi caratterizzati da una produttività o comunque da una "ricchezza" maggiore, e che quindi tendono a prelevare più di quanto gli ecosistemi in cui si instaurano producano o comunque "offrano", ad esempio in termini di spazio.

Per quanto riguarda i gamberi della Louisiana, le pagine locali de "La Nazione" di giovedi scorso segnalano che in questi giorni una pullulazione dei crostacei è stata notata intorno al padule di Signa, anche se il problema sembra essere meno grave rispetto a qualche anno fa. Sostiene infatti il responsabile del locale ufficio Ambiente del comune, Valerio Balzoni, che «il boom è stato registrato nel 2006, quando avvistammo migliaia di esemplari. Poi l'aumento degli aironi e di altri predatori ha riequilibrato la situazione».

E la considerazione sugli "aironi in aumento" è particolarmente eloquente, poiché indica una delle strade da percorrere per contrastare il problema delle specie alloctone: aumentando (o più che altro lasciando che aumenti per via naturale, ponendo limiti stringenti ai prelievi idrici, ittici, venatori o al consumo di suolo) il numero di predatori non-specializzati (come appunto gli aironi che, anche se non vengono cacciati, tendono comunque ad instaurarsi solo dove è garantita una certa "ricchezza" del biotopo disponibile), si può perseguire una diminuizione delle specie invadenti.

Ma l'ambito di azione fondamentale è un altro: se è vero che i gamberi-killer si sono diffusi nelle aree umide toscane fuggendo da allevamenti, così come è avvenuto per le nutrie, è anche vero che se gli ecosistemi in questione fossero stati sufficientemente "solidi" la possibilità di penetrazione di specie alloctone in essi sarebbe stata ridotta, se non azzerata. Se, cioè, al padule di Signa o a qualsiasi area umida fosse stata garantita in passato una gestione sostenibile, i gamberi killer non avrebbero trovato probabilmente un habitat adatto in essi, poichè la loro nicchia ecologica sarebbe stata già occupata da gamberi locali. E lo stesso sarebbe avvenuto per tutte le altre specie alloctone.

Occorre quindi ora, a 28 anni dalla stipula della convenzione di Ramsar per le aree umide, e a 23 dalla sua prima ratifica da parte dell'Italia (Dpr 448/76), intensificare l'azione in direzione di una seria ricostituzione della salute degli ecosistemi, soprattutto delle aree umide. E questo deve passare in primo luogo attraverso una forte politica di ricostituzione dei corridoi ecologici: l'obiettivo deve essere quello di mettere a sistema tutte le aree protette garantendo l'interscambio genetico e la mobilità delle popolazioni terrestri e idriche, oltre che avicole. E questo elemento deve essere preso, ben più di oggi, come orizzonte fondamentale nell'assestamento non solo delle aree protette, ma nella generale politica di pianificazione del territorio. Altrimenti, appare abbastanza inutile garantire la presenza di aree protette, se poi queste a lungo termine devono essere occupate solo da specie ingombranti, non in equilibrio col territorio e spesso (anche se non è il caso dei gamberi-killer, che sono commestibili) anche non adatte per le finalità connesse alle attività economiche umane.

Un veicolo fondamentale per contrastare, oltre ai generali problemi di impoverimento della biodiversità, anche quello più specifico inerente alle specie alloctone, è quindi quello di superare il dualismo tra pianificazione del territorio e assestamento delle aree protette, evolvendo l'azione di governo in direzione di una più onnicomprensiva "pianificazione ecologica" del territorio nella sua globalità, che abbia come caposaldo fondamentale una politica di creazione (più spesso di ri-costituzione) di corridoi ecologici.

Torna all'archivio