[05/11/2009] News

Servizio idrico: il governo legifera in favore dei privati

FIRENZE. Non è ancora uscito il testo definitivo che il Senato dovrà passare alla Camera, ma la notizia è di ieri: è stato approvato il Dl 135/09 che va a modificare le modalità di affidamento della gestione nel settore dei servizio pubblici, con il passaggio fondamentale  rappresentato dal famoso art.15 con cui viene consegnata l'acqua ai privati, cioè alle multinazionali. Il Paese, tranne alcune eccezioni rappresentate da cittadini che hanno inondato di mail i senatori mettendoli "al corrente" su quanto stavano compiendo, e da alcuni intellettuali come Dacia Maraini che dalle pagine de Corriere della Sera ha lanciato il suo grido d'allarme, ha mostrato disinteresse. La politica (opposizione), e anche qui con alcune eccezioni, non ha voluto combattere fino in fondo questa battaglia. E la misura è data dall'emendamento del senatore Bubbico (Pd) che sintetizzando propone di mantenere la proprietà pubblica e affidare la gestione ai privati. La gravità della situazione si evince dalle parole senatore Roberto Della Seta, capogruppo dello stesso Pd nella commissione Ambiente. «... le norme approvate oggi dal Senato sono molto gravi. L'acqua è un bene comune non è una merce e in base alla Costituzione la titolarità della sua gestione è in capo alle Regioni e agli enti locali. Prevedere non la possibilità, ma l'obbligo entro 1 anno, di affidare a privati la gestione dei servizi pubblici vuol dire espropriare Regioni e Comuni del diritto-dovere di amministrare l'uso dell'acqua nell'interesse delle persone e delle comunità, e apre la strada a un monopolio privato dell'acqua nelle mani di 3 o 4 multinazionali». Le principali novità del decreto approvato sono la messa a gara del servizio idrico, l'introduzione stabile delle SpA miste con tetto massimo di partecipazione pubblica al 30%, la fine delle SpA a totale capitale pubblico; inoltre è stato approvato un emendamento che consente la proroga degli affidamenti "in house" solo se la società mette sul mercato il 40% delle azioni, ossia si trasforma in un S.p.A. mista.

Una cosa va chiarita: nell'esperienza comunitaria l'in house providing ha pieno diritto di esistenza. E' una volontà del governo, non potendo eliminare questa possibilità, di restringerla in modo tale (subordinata ad un parere preventivo dell'antitrust) da renderla poco praticabile. Eppure gli addetti ai lavori nelle scorse settimane segnali ne avevano mandati. Federutility, che riunisce 463 imprese italiane di servizi pubblici locali dei settori idrico ed energetico, in un suo comunicato a settembre aveva dichiarato che il cambiamento degli assetti proprietari richiede attenzione, specie in settori importanti come l'acqua e i rifiuti, e che non basta privatizzare, per garantire efficienza, servono authority indipendenti e politiche industriali. Per l'economista Antonio Massarutto, docente all'Università di Udine "la riforma dei servizi pubblici locali crea più problemi di quanti ne risolva. Il legislatore ha stabilito che la gara è lo strumento virtuoso per eccellenza. Ma la pretesa uniformità tra i servizi locali è una ipotesi grossolana". Sulla stessa linea d'onda l'Anea, l'associazione degli Enti d'ambito che in un suo comunicato di alcuni giorni fa riportava  "Le modifiche alla disciplina degli affidamenti nei servizi pubblici locali, introdotte dal Governo con l'art. 15 del Decreto legge 135/2009, che il Parlamento sta per convertire in legge, gettano altra incertezza sul futuro del settore. Se non saranno introdotte le opportune modifiche si rischia che l'adeguamento alla disciplina comunitaria si trasformi in un provvedimento che restringe ulteriormente il rigore delle norme europee sulla concorrenza con esiti controproducenti... Infatti non si tratta di regolare affidamenti effettuati illegalmente, ma si mettono sotto accusa gli affidamenti perfettamente conformi alle leggi vigenti all'epoca dell'assegnazione, tra l'altro già riconosciuti legittimi dalla Commissione europea e dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici". E con tale incertezza è ovvio che le Autorità di ambito mettano in dubbio anche la regolare effettuazione del servizio in alcuni territori. Naturalmente con questa norma il legislatore pensa di dare risposte alle carenze infrastrutturali e alle inefficienze del servizio che realmente sono presenti in molte aree del paese, ma come fa notare Bruno Miccio del Gruppo 183 in un interessante documento sulle prospettive del servizio idrico nel d.L. 135/09, «...che la liberalizzazione conduca, attraverso una maggiore concorrenza, ad una maggiore efficienza è, ormai, un articolo di fede professato dai soli "fondamentalisti" del mercato». Del resto come spiega l'FMI il costo dell'indebitamento del settore privato, in generale, è superiore a quello dell'indebitamento pubblico e questo è uno dei motivi per cui la proprietà pubblica è stata la modalità dominante con la quale i vari paesi finanziano le reti, come strade e sistemi di acqua. Intanto «in Inghilterra e nel Galles (dove peraltro il sistema di regolazione è efficiente ndr)- continua Miccio- i consumatori hanno dovuto pagare un extra per coprire i costi di capitale privato stimato in un 900 milioni di sterline per anno, il 12% del totale delle bollette di acqua».

Quindi per le infrastrutture conviene impiegare soldi pubblici, ma la gestione si affida ai privati in assenza di un'Autorità di regolazione indipendente ed efficiente: l'impressione è che le magagne che in alcune parti del paese sono state innescate da un monopolio pubblico possano moltiplicarsi e acuirsi con un monopolio privato senza che i cittadini fruitori del servizio ne abbiano alcun vantaggio. Invitiamo quindi alla prudenza perché non vorremmo, come è già successo, che la norma dopo la sua approvazione venisse definita "una porcata" dagli stessi che l'hanno pensata e scritta.

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