[27/10/2009] News toscana

Reportage esclusivo di greenreport dalla Scialoja alla ricerca della nave dei veleni

LIVORNO. Il sonar sistemato in un piccolo siluro lungo poco più di un metro scende lentamente, sfiora il pelo dell'acqua schiumosa e poi giù, dove la luce del sole scompare fino ad arrivare a 120 metri di profondità alla ricerca della nave dei veleni. A dieci miglia dalla costa davanti a San Vincenzo, in una giornata limpida sferzata da un leggero vento di grecale, la nave Scialoja della Capitaneria di porto di Livorno perlustra metro per metro i nostri fondali. A far scattare le indagini dei militari le dichiarazioni di Francesco Fonti, il pentito della 'ndrangheta che ha indicato nel mare davanti alla costa labronica una delle pattumiere dove sarebbe stata affondata una nave carica di rifiuti tossici. Una vasta area, troppo vasta per essere passata al setaccio. E' stato lo stesso procuratore di Livorno Francesco De Leo  a  parlare di un ago in un pagliaio. Per avviare le ricerche la Capitaneria ha quindi deciso di partire dal punto in cui, lo scorso luglio, è stata avvistata una portaconeir mentre scaricava dei materiali in mare. Un'operazione sospetta e non regolare.

Il viaggio nelle profondità del Mar Tirreno inizia di prima mattina dal porto Mediceo. La nave Scialoja della Capitaneria di Porto arrivata a Livorno nel 2007 per compiere missioni ambientali, alle 8 in punto è pronta a mollare gli ormeggi. A bordo, otto uomini guidati dal comandante Roberto Diana e una serie di strumentazioni fondamentali per la spedizione. Lasciata la banchina, dopo due ore circa di navigazione, la nave si ferma nel punto indicato dalla motonave tedesca Thales che a luglio ha avvistato una portacontainer scaricare rifiuti. Siamo a dieci miglia dalla costa a largo di San Vincenzo e l'equipaggio inizia le operazioni di perlustrazione. Rallentati i motori, il comandante fa preparare il sonar posizionato in un piccolo siluro lungo poco più di un metro, fissa lo strumento a un cavo di acciaio e lo lascia andare giù.

Pian piano, "il pesce", come lo chiamano in gergo i militari, si inabissa e il cavo scorre fino a 120 metri dalla superficie dell'acqua. Una volta assestata la posizione e la traiettoria, parte la trasmissioni delle immagini sul personal computer sistemato in plancia. Sullo schermo due grandi strisce color marrone disegnano il fondo sabbioso che agli inesperti sembra privo di particolari, quasi monotono. Ma non per il Comandante Diana, 30 anni passati sulle motovedette tra Cagliari e Gaeta e tanta esperienza alle spalle. Per lui, ogni segnale mandato dal sonar significa qualcosa. Diana riesce a decifrare una macchia più scura che indica la presenza di uno scoglio, un cumulo di sabbia o addirittura i solchi lasciati dalle reti a strascico di qualche pescatore irresponsabile.

«E' un lavoro noioso che comunque richiede grande attenzione perché non ci possiamo distrarre un attimo - spiega il comandante mentre la Scialoja prosegue la sua marcia». La giornata in mare però, la terza da quando sono state avviate le indagini, non porta a nulla.

Nessun traccia di navi affondate né tantomeno di rifiuti abbandonati da portacontainer. Ma l'equipaggio non si scoraggia, le ricerche vanno avanti fino a coprire un grosso rettangolo di circa due miglia quadrate alla ricerca di una delle "navi a perdere" affondate nel Mar Tirreno, imbarcazioni cariche di rifiuti tossici provenienti da industrie del nord Italia. Pattumerie sulle quale sta indagando la procura distrettuale antimafia di Firenze e la procura di Livorno. La giornata si conclude dopo quattro ore di ricerche quando un guasto tecnico costringe gli uomini della Capitaneria a rientrare in porto per alcune verifiche.

Uno stop che costringerà la Scialoja a restare a banchina una decina di ore, il tempo necessario per la riparazioni al sonar prima di ripartire di nuovo verso le profondità di un mare che rischia di diventare sempre meno blu.

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