[27/10/2009] News

Nucleare, risolto il problema delle scorie: basta dimenticare il processo di produzione!

GROSSETO. Richard Muller (nella foto) è professore di fisica di Berkeley e capo del GreenGov un gruppo di esperti di energia che vogliono offrire le loro conoscenze per dare un supporto ai decisori e alle industrie che -dicono- sia imparziale.

Ospite in questi giorni in Italia prima per una conferenza al Festival della Scienza di Genova e oggi a Milano per una analoga conferenza organizzata dalla Fondazione Eni- Enrico Mattei, Muller riparte dal suo ultimo libro, Fisica per i presidenti del futuro, per spiegare quanto sarebbe importante che i politici conoscessero la fisica, così da spiegare di persona ai cittadini i motivi delle loro scelte.

Muller, ad esempio, non nega che vi sia un riscaldamento globale in atto: «il cambiamento climatico è realtà» dice in una intervista sul Sole 24 Ore e «il lavoro dell'Ipcc è eccellente» (e dato che ne ha fatto parte sarebbe imbarazzante sostenesse il contrario);  quello che mette in discussione sono l'entità degli effetti che a questo si attribuiscono e bolla  come ridicolo che qualcuno possa sostenere  che «gli uragani o le giornate calde sono effetto del riscaldamento climatico».

Il suo suggerimento è quindi di non fare esagerazioni e falsi allarmismi.

Qual è la ricetta di Muller per combattere l'aumento dell'anidride carbonica? Il mix di combustibili, in cui c'è dentro l'efficienza, le energie rinnovabili al completo, il carbone dotato di Ccs ma soprattutto il nucleare. «L'unica vera chance che il riscaldamento globale si fermi - ha detto alla conferenza tenuta al festival della scienza di Genova - è l'energia nucleare, l'energia più pulita, anche se parole come radioattività e scorie fanno paura».

E quello delle scorie è un altro degli allarmismi che Muller vuole sminuire: in un suo articolo dello scorso aprile reperibile sul sito di Greegov, in cui illustra le motivazioni per cui è ormai utile investire sul nucleare negli Usa, ovvero i costi che si sono abbassati grazie all'aumento dell'efficienza dal 55% all'89% in 20 anni, le procedure burocratiche ridotte, la competitività rispetto ai costi del combustibile fossile, la relativa facilità di reperire l'uranio, cita infine il fatto che il problema delle scorie si risolve con un diverso approccio riguardo al calcolo delle  probabilità di rischio che, se affrontato nella maniera giusta, si riduce allo stesso fattore di quello che si ha per la presenza di materiale radioattivo naturale.

«L'opinione pubblica - scrive Muller - percepisce la lunga durata di vita del plutonio (ha un tempo di dimezzamento di 24.000 anni, ndr)  come il pericolo maggiore. Tuttavia, gli esperti in materia di rifiuti nucleari sono d'accordo che il plutonio non è la parte più pericolosa delle scorie. Perché è molto insolubile in acqua e relativamente innocuo: quando l'acqua si beve, la dose di plutonio per indurre il cancro è calcolata in mezzo grammo. Il plutonio è pericoloso soprattutto quando respirato, non se ingerito».

Quindi dice Muller il problema su cui porre l'attenzione non è questo ma il resto dei frammenti nucleari,  che hanno tra l'altro una vita relativamente breve. «Dopo circa 100 anni, si scende al livello che è inferiore a 100 volte la radioattività dell'uranio originariamente estratto dal suolo. Ciò significa che, se le scorie sono stoccate in modo tale che vi sia una probabilità del 10% di perdite, il rischio finale di rilascio di radioattività diventa lo stesso di quello che avremmo avuto se avessimo lasciato l'uranio nel suo luogo originario».

Insomma a sentire e leggere Muller, tutti i problemi che vengono addotti rispetto all'uso del nucleare per fare energia elettrica e in particolare quello delle scorie che produce non sono problemi in sé ma nel modo in cui vengono affrontati.

Se così fosse, allora perché nessuno è ancora risuscito a risolvere il problema delle scorie? Lo hanno affrontato tutti in maniera sbagliata?

«Nessuno ha mai posto il problema delle scorie sulla base del plutonio, ma dei frammenti che si originano dal processo nucleare» ci ha risposto Massimo Scalia, fisico dell'Università La Sapienza di Roma.

Ma anche Muller dice che il problema non sta lì ma negli altri radionuclidi e che se si approccia in maniera diversa è risolvibile.

«Allora dovrebbe rivolgersi a tutti i colleghi fisici che hanno presentato progetti da miliardi di euro e che poi li hanno abbandonati, perché si trattava di bombardare le scorie con l'obiettivo di ottenere radionuclidi che avessero tempi di dimezzamento sempre più brevi. Progetti che subiscono infatti un grave ritardo e serie difficoltà soprattutto per l'elevato budget che comportano. La seconda obiezione riguarda l'efficacia stessa dei processi di trasmutazione, in quanto alcune reazioni possono produrre radionuclidi a vita media assai più lunga di quella di partenza. Infatti, per esemplificare, se la cattura dei neutroni irradiati dal bersaglio consente, attraverso una catena di reazioni nucleari, di "abbattere" lo Iodio129, emivita 16 milioni di anni, fino allo Xenon130 che è stabile; o il Cesio135, emivita di 2,3 milioni di anni, fino al Bario136, anch'esso stabile, o il Plutonio239 al Plutonio241, emivita 14 anni, non così avviene per il Cesio133, che fa parte insieme al Cesio135 della miscela di isotopi presenti nel combustibile irraggiato, o per il Plutonio241. Il primo, che è stabile, si trasmuta per cattura neutronica in Cesio135; il secondo da Plutonio241 in Plutonio242 con emivita di 380.000 anni».

Quindi non è un problema di approcci diversi?

«Il problema è che si dimentica che il processo che porta all'energia nucleare fa parte di un ciclo che inizia dall'estrazione dell'uranio, che deve essere sottoposto ad arricchimento e poi al passaggio in centrale  e che ognuno di questi passaggi ci sono problemi da risolvere e scorie da smaltire».

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