[27/10/2009] News

La cittadinanza ecoscientifica in India e Cina

ROMA. Nuova Delhi, 15 ottobre 2009. Jairam Ramesh (Nella foto), ministro dell'ambiente e delle foreste, sospende il permesso di coltivare e commerciare il «Bt brinjal», la prima pianta geneticamente modificata prodotta in India, dalla Mahyco Monsanto Biotech, una joint venture tra la Maharashtra Hybrid Seed Company, un'impresa locale, e la Monsanto, la multinazionale americana delle sementi. Appena 24 ore prima la Genetic Engineering Approval Committee (GEAC), la commissione tecnica che in India sovrintende alla sicurezza degli organismi geneticamente modificati, aveva dato il via libera alla coltivazione e al commercio del «Bt brinjal» perché, sulla scorta di indagini realizzate dai suoi scienziati, la pianta ogm non presenta rischio alcuno. La decisione suscita le proteste veementi di gruppi ambientalisti. E così il governo indiano fa marcia indietro perché, spiega il ministro Jairam Ramesh, prima di prendere una decisione finale occorre ascoltare tutti gli stakeholders, tutti coloro che hanno una posta in gioco: scienziati, tecnici, agricoltori, rappresentanti dei consumatori, ambientalisti.

Pechino, ottobre 2009. Il Consiglio di Stato, presieduto dal primo ministro Wen Jiabao, con una decisione a sorpresa ha ordinato al governo della provincia dello Jiangxi che intende costruire una diga nelle paludi di Poyang e agli scienziati della sezione cinese della Wetlands International, che criticano quella scelta, di sedersi intorno a un tavolo nella capitale cinese e trovare la migliore soluzione per coniugare ecologia e sviluppo. La decisione del Consiglio di Stato è venuta dopo che gli scienziati della Wetlands International hanno contestato pubblicamente le basi scientifiche su cui il governo della provincia dello Jiangxi ha giustificato la decisione di costruire la diga.

Le due notizie che provengono dalle capitali di India e Cina sono di natura alquanto diversa. Tuttavia hanno un tratto in comune. Ci dicono che anche nei due paesi più popolosi dell'Asia e del mondo, con un'economia rapidamente emergente, il dibattito pubblico sta entrando con forza nella politica ambientale e inizia a segnarla. Proprio come succede in Occidente.

In India un movimento di opinione pubblica ha suggerito al governo di rivedere le sue decisioni, peraltro fondate su un'analisi scientifica trasparente. Significa che nella più popolosa democrazia del mondo i problemi tecnoscientifici e/o ambientali non possono essere risolti solo nel rapporto a due tra politica e tecnica, ma - come riconosce esplicitamente il ministro Jairam Ramesh - devono prevedere un triangolo decisionale, che coinvolge i portatori di interesse (gli stakeholders), prima fra tutti l'opinione pubblica.

In Cina un gruppo di scienziati ha smesso la sua veste squisitamente tecnica e ne ha acquisita una più politica. Gli scienziati che si occupano di ecosistemi delle paludi non si limitano a studiarle. Ma si pongono il problema, politico, di preservarle. Si schierano pubblicamente. E la loro posizione politica non solo non viene censurata, ma viene presa in considerazione dalle autorità istituzionali. Non è affatto scontato. Men che meno, in un paese governato da un partito unico.

Le notizie da New Delhi e da Pechino sono la riprova che l'emergere delle questioni ambientali trascina con sé la richiesta di nuovi diritti di cittadinanza. E che questi diritti, ovunque nel mondo, non possono essere facilmente elusi.    

 

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