[26/10/2009] News

La crisi dei parchi e il governo del territorio di Renzo Moschini

Quest' ultimo libro di Renzo Moschini appena uscito nella Collana dell'ETS di cui è direttore già nel titolo evidenzia due aspetti che nel dibattito pur animato e talvolta turbolento sui parchi faticano tuttora ad emergere con la necessaria chiarezza. Il primo riguarda appunto la ‘crisi' dei parchi.

Senza giri di parole e sulla base di un'analisi approfondita Moschini parla di una vera a propria crisi che rimette in discussione anche aspetti considerati largamente acquisiti. L'altro aspetto attiene ai caratteri della crisi non riconducibili -men che mai in questa fase di complicato confronto sulle riforme istituzionali- esclusivamente al mondo dei parchi. Il riferimento al ‘governo del territorio' ha appunto questo preciso significato. La crisi dei parchi insomma per essere capita e soprattutto risolta va letta all'interno di quella più generale riforma del titolo V che ancora stenta a decollare.
Questo libro in un certo senso è il seguito di un precedente volume uscito a fine ottobre del 2007 e non a caso uscito anche quello in collaborazione con la Lega delle Autonomie di cui Moschini è responsabile nazionale dei parchi; ‘Parchi e istituzioni: novità e rischi'. Già allora si coglievano alcune novità di questa ‘crisi' e soprattutto i rischi sui quali il nuovo libro può offrire ulteriori e più chiari elementi di analisi ma anche di proposta.

Volendo si può risalire anche più indietro nel tempo a suoi precedenti libri i cui titoli danno bene l'idea del tipo di riflessione Moschini abbia avviato da lunga pezza; Parchi oltre la cronaca, le istituzioni e la gestione delle aree protette, Parchi a che punto siamo? Un'analisi senza omissis della crescita del sistema italiano delle aree protette; I parchi oggi. Il ruolo, le finalità, i problemi di una politica nazionale delle aree protette.
Si possono aggiungere tutta un'altra serie di contributi dai Quaderni di Toscanaparchi, alla attività del Centro studi sulle aree protette fluviali di Montemarcello-Magra.

Qui possiamo affidarci a quanto scrive nella sua presentazione Luigi Piccioni un giovane storico ambientale che insegna all'Università di Cosenza e autore di alcuni libro molto importanti sull'argomento:
‘Questo scritto di Renzo Moschini è un'analisi documentata e ragionata e al tempo stesso un appello allarmato riguardo al futuro delle aree protette nel nostro paese: un'analisi e un appello quanto mai necessari. Moschini in realtà non fa che riprendere una volta ancora il filo di un ragionamento mai interrotto negli ultimi venticinque anni aggiornandolo però agli ultimi eventi politico-istituzionali e alzando il tiro analitico.
Il suo è un richiamo appassionato a rilanciare un'idea e una pratica alte delle aree protette, sconfiggendo ostruzionismi e posizioni sbagliate ma anche recuperando in pieno e facendo concretamente vivere l'ispirazione della legge quadro del 1991. La dettagliata analisi della situazione attuale tiene conto delle sue molte sfumature ma è nel complesso impietosa: ritardi nell'attuazione della legge, malintesi, frammentazione, atteggiamenti dannosi che si ripetono sistematicamente negli anni, perdita d'ispirazione ideale. Una lettura importante, per chi ha a cuore e per chi si occupa delle aree protette italiane.
Non voglio entrare in dettaglio, né sono particolarmente titolato per farlo. Riscontro tuttavia una debolezza nell'analisi che mi pare giusto sottolineare perché credo possa essere utile al dibattito che Moschini stesso mi pare intenda stimolare col suo libro.
Nell'opera vengono rintuzzate in modo deciso le accuse di "inutilità", di "poltronificio", di "spreco" rivolte alle aree protette negli ultimi tempi, e si sottolinea come questo tipo di accusa abbia significativamente sostituito quelle tradizionali di "ostacolo" alle attività economiche e ai tradizionali diritti degli abitanti. D'altro canto, argomenta Moschini, queste argomentazioni pur pretestuose trovano qualche gancio nei ritardi di applicazione della 394 e nell'inefficienza di molti enti gestionali, quindi anche nell'operato dei parchi stessi. Né Moschini manca di sottolineare le cattive acque in cui si trovano il concetto e la pratica della pianificazione nel nostro paese.

Nonostante questa consapevolezza, pare che l'analisi continui a muoversi in un'ottica un po' troppo interna al mondo della gestione delle aree protette e della legislazione, nazionale e regionale, al riguardo; un'ottica senz'altro giusta, ma parziale, che determina un'analisi e delle proposte anch'esse senz'altro giuste ma anch'esse parziali.

Nel leggere le pagine di Moschini e il suo richiamo costante alla legge quadro del 1991 mi è venuto infatti da pensare come quella legge e alcuni provvedimenti analoghi pure citati da Moschini abbiano costituito delle "code" finali di una straordinaria stagione, iniziata nella prima metà degli anni '60 ed esauritasi proprio verso la fine degli anni ‘80, in cui si sono progressivamente e virtuosamente intrecciati lo slancio riformatore dell'era keynesiana e i grandi movimenti dal basso dell'ondata democratica 1968-1980. Non è un caso che intorno allo stesso 1991 "L'Espresso" decise di chiudere la decennale rubrica "Pagine verdi" che aveva visto alternarsi firme prestigiose tra cui quella di Antonio Cederna né che alcuni protagonisti ritengono oggi che se non si fosse riusciti ad approvare la 394 proprio in quell'ultimo scorcio di legislatura forse non avremmo mai più avuto nessuna legge quadro.

Moschini fa bene a sottolineare come in Europa e in tutto il mondo non solo le aree protette non sono in discussione ma come anzi la teoria, la legislazione e la pratica gestionale progrediscano di anno in anno, a tutti i livelli; pecca però di ottimismo, a mio avviso, quando pensa che questa debba essere una sorta di tendenza naturale anche in Italia, a cui dovrebbe essere pressoché automatico noi ci adeguassimo. Come se stessimo scontando una sorta di ritardo, di inconsapevole arretratezza.

Pare che in Italia stiamo vivendo un devastante intreccio in cui si fondono soprattutto tre elementi. Il primo è costituito da una storica debolezza del senso civico, dei valori e delle procedure istituzionali che connotano le democrazie moderne. Su questo non voglio insistere: da questo punto di vista la distanza tra l'Italia e i paesi dell'Europa centro-settentrionale è antica e conclamata'.

In questa preoccupazione di Piccioni potremmo cogliere già un merito del libro ossia la sua capacità di misurarsi con problemi nuovi le cui risposte sono tutt'altro che scontate.
In effetti il rischio di guardare ai problemi e alla crisi dei parchi come a qualche cosa di preoccupante ma pur sempre all'interno di un ambito circoscritto esiste e Piccioni ha ragione. Ne sono un segno evidente la scarsa attenzione e le deboli reazioni politico-istituzionali agli effetti negativi sul governo del territorio dei colpi assestati prima alla legge 183 e successivamente alla 394. Ma non è un caso che l'autore del libro risulti specie in questo momento seriamente impegnato con la sua Collana, il suo ruolo nella Legautonomie e nel Centro studi a promuovere iniziative, confronti a 360 gradi.

 

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