[23/10/2009] News

Crisi e sostenibilità: medico che vai ricetta che trovi (ma tutto dipende dall'analisi)

LIVORNO. «Così come la bravura di un medico si giudica in ultima analisi dalla sua capacità di curare una malattia, anche quando non sia in grado di anticiparne il manifestarsi, così la professione economica deve essere in primo luogo valutata per le risposte che ha saputo dare alla crisi. Da questo punto di vista credo che il bilancio sia largamente positivo». Infatti, «gli economisti hanno subito compreso le conseguenza drammatiche degli shock che si osservavano» e «non hanno dimenticato le lezioni delle crisi del passato né le prescrizioni dei grandi economisti che le avevano studiate».

E' la difesa dei ‘professori' alzata ieri dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi di cui dà ampio resoconto il Sole24Ore sotto il titolo «Draghi: nuove sfide in vista». Da par sua, infatti, rispetto alla crisi economico-finanziaria «nuovi problemi sono all'orizzonte», ma per chi come noi contava che facesse riferimento alla crisi ecologica l'attesa rimane delusa. E con lei la speranza che questa depressione globale portasse con sé i germogli, almeno in Italia, di un cambio radicale di prospettiva economica. Non che qualche passo avanti non si sia fatto, ma per ora si è andati poco più in là della di una visione a corto respiro della green economy quale driver per uscire dalla crisi stessa e non come modello assoluto di economia tout court.

Allora rimanendo nella metafora di Draghi viene da pensare che molto dipenda, relativamente al "pogrom di economisti" a quali economisti appunto si faccia riferimento e di quali delle loro analisi si tenga di conto. Oggi l'esempio e una possibile risposta arriva da Laura Pennacchi, economista guarda caso, che sull'Unità interviene su «Mercato, crisi e vecchi tabù». Se per esempio qualcuno volesse ascoltare questa parrocchia, potrebbe confrontarsi con l'idea della Pennacchi che «la fase che stiamo vivendo è una seconda Great transformation analoga a quella che studiò Karl Polaniy negli anni a cavallo fra le due guerre mondiali, tale da richiede un analogo sforzo di produzione di pensiero, di categorie, di idee, di cui un campo di esemplificazione immenso è quello ambientale».

Che significa? «Il riequilibrio del rapporto stato-mercato investe sfere di grande portata e non è leggibile solo con l'immagine del ‘pendolo' che, alternativamente, si sposta dal pubblico al privato e viceversa. Anche perché in gioco c'è di più del riequilibrio stato-mercato. La crisi economico-finanziaria - non un incidente di percorso ma la rimessa in discussione di un intero modello di sviluppo - attizza il fuoco sotto problematiche esplosive che covano da tempo: dalla crescita delle disuguaglianze agli squilibri territoriali, al depauperamento del capitale sociale e dei patrimoni infrastrutturali, alla dequalificazione dei sistemi educativi e delle strutture di welfare, al riscaldamento climatico e alle questioni ambientali in genere».

E qui l'economista Pennacchi pone una questione carissima a greenreport: «Trattare queste problematiche implica ridare cittadinanza a una parola troppo a lungo negletta: pianificazione».

Ecco, uno Stato, un governo della polis che voglia affrontare la crisi economica ed ecologica in corso dovrebbe partire da qui che non significa affatto far "cadere il muro" del mercato, perché come dice la Pennacchi non c'è alcuna «contraddizione inevitabile tra mercato e pianificazione, termini che appropriati disegni rendono compatibili e non mutuamente escussivi».

E facciamo un esempio che ci mette su un piatto d'argento Salvatore Bragantini oggi sul Corriere della Sera quando nel suo "Paradiso artificiale dell'economia» spiega che «Nel mondo la finanza guadagna di nuovo alla grande, anche per la calante concorrenza e le garanzie pubbliche, ma tardano ad arrivare le nuove regole volte a evitare gli errori passati. L'industria tende al cronico eccesso della capacità produttiva sulla domanda. L'offerta dovrebbe calare adeguandosi alla domanda, ma questo meccanismo è bloccato; si spinge a forza la domanda per allinearla all'offerta. In questa prospettiva gli ultimi vent'anni paiono il sempre più affannoso rinvio del riequilibrio; la distruzione creatrice fa paura. E' comprensibile, ma insostenibile, anche per il lavoro che perde comunque».

Da qui dunque la necessità della pianificazione e segnatamente legata alla riconversione dell'economia verso l'ecologia perché essa - citiamo di nuovo la Pennacchi - «assume specificatamente questioni che il mercato non può risolvere: la scelta di quanto investire (e perciò risparmiare) nell'aggregato, la direzione che le nuove tecnologie debbono intraprendere, la decisione di quanto peso e quanta urgenza dare ai problemi ambientali, il ruolo da assegnare al welfare, alla scuola, alla conoscenza scientifica, alla cultura».

Non tutte le analisi economiche, quindi, vengono per nuocere, anzi. Bisogna però avere in testa una visione piuttosto che un'altra per ascoltare la campana che davvero porti con sé la risposta migliore e quindi le soluzioni migliori per affrontare la crisi. Se poi dall'analisi generale le risposte di un governo sono la costruzione del Ponte sullo Stretto sempre e comunque; il ritorno al nucleare; l'assoluta mancanza di un piano energetico nazionale; la non volontà di riassesto idrogeologico del Paese; gli incentivi alla rottamazioni per non dire di altre amenità, allora anche a livello spannometrico si può capire la distanza abissale ce c'è tra questo Paese e una qualche idea di sostenibilità ambientale e sociale.

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