[22/10/2009] News toscana

Rilevamenti ambientali "partecipati”? Chini (Arpat): «Ok, ma vanno risolti i problemi di affidabilità»

FIRENZE. Lo scorso 8 ottobre avevamo approfondito la notizia pubblicata dal "Sole 24 ore" per cui in alcune realtà del mondo occidentale (Parigi, Amsterdam, S.Francisco) sono in via di sperimentazione delle reti partecipate per il rilevamento di alcuni dati ambientali, come la concentrazione di ozono in aree abitate, attraverso l'utilizzo di strumenti portatili e di piccole dimensioni.

Le prospettive in direzione di un maggiore avvicinamento tra "popolazione" e "scienza ambientale" sono piuttosto evidenti (vedi link in fondo alla pagina), così come intuibili sono le prospettive possibili in direzione di una maggiore capillarità dei rilevamenti. Come ha però sostenuto in un primo commento il direttore tecnico di Arpat, Riccardo Gori, però, «il percorso per l'elaborazione di sistemi di misura alternativi richiede un tempo considerevole, e una serie di approfondimenti significativi». Questo perchè, ha spiegato, «una cosa è la ricerca, un'altra il monitoraggio: per fare il monitoraggio bisogna riferirsi alle serie storiche, e per adottare nuove tecniche occorre vedere se esse sono compatibili con quelle già in corso». Per questo, secondo Gori, «è da attendersi che tecniche innovative dovranno eventualmente passare per un percorso di valutazione complessa, e non è un caso che le innovazioni, nel settore, siano accolte con lentezza».

Secondo Marco Chini,  responsabile del Centro regionale tutela della qualità dell'aria di Arpat, che abbiamo contattato per un ulteriore approfondimento, le potenzialità "educative" dei nuovi strumenti sono evidenti, e inoltre essi potranno permettere in futuro di «avere una "fotografia del territorio" ad una risoluzione maggiore di quella che abbiamo ora». Ma allo stato attuale, almeno per quanto riguarda il "Greenwatch" adottato a Parigi, l'affidabilità delle misurazioni date dagli strumenti di nuova concezione non è ancora sufficiente per permettere al politico/amministratore di agire poi in sede decisionale.

Chini, sono state intraprese iniziative analoghe a quelle francesi, olandesi e americane, in Toscana?

«No, non ci sono state finora esperienze toscane di utilizzo di questi sensori "a basso costo". Tra l'altro quelli citati dal "sole 24 ore" per le iniziative attuate a Parigi e in altre realtà sono prototipi, quindi va visto l'effettivo costo che avrebbero se prodotti su ampia scala.

Comunque, questi strumenti potranno essere adottati in futuro: ci sono attualmente due bandi regionali proprio per reti ambientali diffuse nel territorio, cui l'università, enti di ricerca e istituti come il Cnr sono interessati a partecipare, e in questo senso Arpat potrebbe essere chiamata a fornire un supporto tecnico».

Quella dei rilevamenti "partecipati" è una strada da seguire, quindi?

«Si, nel senso che può migliorare la sensibilità ambientale delle persone, e in questo senso ben vengano tutte le esperienze analoghe al "Greenwatch" utilizzato a Parigi. L'accresciuta sensibilità si traduce poi in scelte che portano ad una maggiore sostenibilità dei consumi fatti, dei trasporti adottati, alla riduzione dei rifiuti prodotti, eccetera.

Comunque, va aggiunto che le esperienze che sono state fatte all'estero non hanno ancora la necessaria affidabilità per dare misurazioni riferibili ai limiti posti dalle leggi nazionali ed europee: questo significa che le norme non solo dettano i limiti di legge per le varie sostanze inquinanti, ma anche il modo in cui misurare i valori in modo da avere risultati confrontabili con quelli di altre realtà nazionali e continentali.

E gli impianti usati per i rilevamenti "tradizionali" sono strutture che, per godere della necessaria affidabilità, devono essere raffinate e ricevere una manutenzione costante, e quindi sono piuttosto costose: una centralina "completa" costa circa 200.000 euro, cui si aggiunge annualmente un 10-15% di questa cifra per sottoporla a manutenzione. Ecco perchè sono relativamente poche: in tutta la Toscana sono 80 le centraline per la qualità dell'aria. E si consideri anche che in altri paesi sono molte meno: ad esempio sono circa 80 in tutta la Gran Bretagna.

Quindi possiamo dire che, anche davanti a numeri relativamente bassi, siamo comunque "sovradimensionati tecnicamente" rispetto ad altre realtà: ma allo stesso tempo siamo "sottodimensionati agli occhi del cittadino", nel senso che - ad esempio - le 5 centraline presenti a Firenze-centro (un numero superiore a quello richiesto dalla norma tecnica, che prevede un minimo di 2-3 centraline ogni 500.000 abitanti) sono comunque considerate poche dalla popolazione. Questo significa che, dal punto di vista di quello che è effettivamente percepito dai cittadini, il monitoraggio è scarso, mentre per le normative vigenti le centraline presenti sono anche troppe.

Ecco che le strumentazioni innovative di cui parliamo possono rappresentare, in prospettiva e tenendo presente le criticità citate, un compromesso con chi vorrebbe una centralina ad ogni angolo di strada, cosa che è irrealizzabile».

Verso quale futuro andiamo, quindi, nel campo del rilevamento dei dati ambientali?

«Guardi, questi sono lodevolissimi tentativi per andare verso un'informazione più capillare: avere sensori (posto che siano a basso costo) che permettano magari di ottenere 1000 rilevamenti dell'ozono, porterebbe ad una conoscenza più puntuale, cioè ci permetterebbe di avere una "fotografia del territorio" ad una risoluzione maggiore di quella che abbiamo ora.

Il dubbio, però, riguarda il fatto che i numeri che vengono fuori da questi rilevamenti, per essere validi e permettere di prendere poi decisioni su essi basate, devono essere affidabili. Io ho scaricato i dati relativi ad alcune esperienze condotte a Parigi usando il già citato Greenwatch, e molto sinceramente devo dire che, almeno per le 3-4 esperienze che ho analizzato, i numeri non mi sembrano molto affidabili.

Nel momento in cui lo strumento indica che il cittadino-rilevatore entra in una zona con livello di ozono maggiore, cioè, esso si limita a certificare che "in quel punto non tira una buona aria", ma non dà numeri affidabili sull'effettivo tasso di ozono: se la rilevazione dice "123 microgrammi/metro cubo" questo valore ha un range di errore che definirei di ±50 μg/mc, mentre il range di errore per gli strumenti "tradizionali", quelli che le norme approvano e che usiamo noi, è di ±5 μg/mc. E' chiaro che, nel momento in cui si potrà approssimare il valore dato da questi strumenti innovativi allo stesso livello di accuratezza, tutti i problemi saranno risolti. Ma per ora non è così: a Parigi, su percorsi simili e negli stessi giorni, alcune misure hanno dato un risultato di 20 μg/mc di ozono, altre hanno rilevato un valore di 150.

Questi strumenti, quindi, sono già "abbastanza" affidabili, ma non abbastanza (almeno per quanto riguarda il Greenwatch adottato a Parigi) per mettere il decisore politico-amministrativo in grado di prendere decisioni operative: se sopra la soglia dei 180 μg/mc, in ottemperanza a norme italiane ed europee, occorre dare l'allarme alla popolazione, è chiaro che questo deve essere sostenuto da misure affidabili.

Diciamo quindi che "l'orologio" e strumenti analoghi sono in grado, allo stato attuale, di dare solo un'indicazione di massima. Ciò non toglie che io creda che il futuro sarà quello di una sempre maggiore adozione di queste misure, ma solo una volta che saranno risolti i problemi di precisione: solo a questo punto potranno essere inseriti come metodi ufficiali e quindi utilizzati per il monitoraggio della qualità dell'aria secondo le norme».

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