[22/10/2009] News

Danno ambientale, la Corte di giustizia si pronuncerà sulle bonifiche nella rada di Augusta

GROSSETO. L'avvocato designato ha presentato oggi le sue conclusioni nella causa che vede da una parte le Raffinerie Mediterranee SpA (ERG) e dall'altra il Ministero dello Sviluppo Economico.
Il tema è quello della responsabilità per danno ambientale che nel caso specifico l'amministrazione italiana attribuiva alla Erg per al sua attività nella rada di Augusta, caratterizzata da un grave inquinamento ambientale ed il cui fondale marino è gravemente contaminato da sostanze nocive.

Il problema è che in quel sito hanno operato, nel corso degli anni, una pluralità di imprese industriali e petrolifere e tutte vi hanno esercitato attività che comportano l'utilizzo o il rilascio di sostanze inquinanti. Quindi, come al solito, è difficile individuare le singole responsabilità e gli ultimi arrivati non vogliono trovarsi con il cerino in mano.

Il contenzioso è nato infatti quando l'amministrazione italiana ha imposto (seguendo il principio "chi inquina paga" previsto dalla normativa europea) alle imprese attualmente operanti nelle vicinanze della rada di Augusta l'obbligo di risanare il fondale marino contaminato, e laddove questo obbligo fosse stato ignorato, lo Stato avrebbe esercitato il diritto di far eseguire i lavori previsti, rimettendo poi gli oneri a carico dell'impresa.
Inoltre l'amministrazione italiana contestava all'impresa che gli interventi effettuati non sono sufficienti e dava indicazioni specifiche su come operare la bonifica e la messa in sicurezza.

Il cavillo utilizzato dall'azienda, che attualmente opera ad Augusta, per impugnare questo atto dell'amministrazione dello Stato è stato quello di sollevare il fatto che non è stata fatta distinzione tra l'inquinamento pregresso e quello attuale e non è stato accertato in quale misura ciascuna impresa fosse responsabile per il danno. Inoltre le imprese sostengono che i provvedimenti richiesti dall'amministrazione statale modificano decisioni precedenti e sono stati adottati senza contraddittorio, senza alcuna motivazione e senza adeguata istruttoria.

Le decisioni dello Stato erano già state impugnate da alcune imprese presso il Tar Sicilia che le aveva dichiarate illegittime, ma ne era stata sospesa l'esecuzione da un successivo pronunciamento del Consiglio di giustizia amministrativa della stessa regione siciliana.

Il Tar della Sicilia aveva quindi posto il quesito alla Corte europea se si potesse in questo caso utilizzare il principio chi inquina paga (direttiva 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) e se la pubblica amministrazione possa imporre misure di riparazione diverse e ulteriori da quelle precedentemente prescelte, già approvate, realizzate e in corso di esecuzione. Inoltre se queste misure possono essere imposte in via autoritativa e se queste possano essere una condizione per l'autorizzazione ad uso legittimo di aree non interessate alla bonifica o comunque non inquinate.
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Oggi l'avvocato generale Juliane Kokott, designato a trovare una soluzione giuridica nella causa suggerisce alla Corte di dichiarare che il principio di chi inquina paga (direttiva 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) non può essere utilizzato in questo caso perché la direttiva che lo prevede «non si applica ai danni all'ambiente che siano stati causati da attività realizzate prima del 30 aprile 2007» anche se «non osta a norme nazionali disciplinanti la riparazione di tali danni» quindi sembra che il danno si potesse comunque riparare.
Il problema (non di poco conto) è di stabilire di chi è la responsabilità.

Su questo quesito infatti nel suo parere Kokott aggiunge che il ricorso alla direttiva 2004/35/CE «osta ad una responsabilità per danni ambientali indipendente da un contributo alla causazione dei medesimi soltanto se ed in quanto essa abbia l'effetto di elidere quella incombente a titolo prioritario sull'operatore che ha causato i danni in questione» e «consente di soprassedere all'accertamento della causa del danno qualora non ci si possa attendere alcun risultato positivo da un'eventuale prosecuzione delle indagini, e consente di adottare misure d'urgenza prima della conclusione delle indagini» e infine che «non osta a norme che prevedano una responsabilità per danni all'ambiente svincolata dall'esistenza di un dolo o di una colpa».

In merito agli altri due quesiti, l'avvocato designato dalla Corte suggerisce che «non osta alla modifica di misure di riparazione già disposte, se e in quanto vengano rispettati i principi generali del diritto comunitario»; «non osta ad una normativa nazionale la quale consenta alla pubblica amministrazione di modificare, d'autorità, precedenti prescrizioni in materia di riparazione di danni ambientali».

Ai fini di tale decisione, occorre di norma valutare le condizioni specifiche dei luoghi, i costi di attuazione in relazione ai benefici ragionevolmente prevedibili, i possibili o probabili danni collaterali ed effetti avversi sulla salute e la sicurezza pubblica, nonché i tempi necessari alla realizzazione. Infine che «non osta a che vengano imposte misure di riparazione a modifica di precedenti quale condizione per l'autorizzazione all'uso legittimo di aree non direttamente interessate dalla bonifica, in quanto già bonificate o comunque non inquinate».
Chiaramente l'opinione dell'Avvocato generale designato a proporre una soluzione giuridica nella causa, non vincola la Corte che adesso anche sulle basi di queste conclusioni dovrà cominciare a deliberare.

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