[09/10/2009] News

Wri: le proposte di riduzione di CO2 dei Paesi sviluppati non sono proprio sufficienti

LIVORNO. Un rapporto pubblicato il 7 ottobre dal World resources institute (Wri), un think-tank ambientale statunitense, spiega che i tagli di emissioni dai Paesi industrializzati entro il 2020 porterebbero al massimo ad una riduzione tra il  10 ed il 24% prevista per il 2020 rispetto ai livelli del 1990 «Sono ben lungi di ciò che è necessario per mantenere il riscaldamento globale al di sotto della temperatura critica».

Lo studio "Developed Country GHG Reduction Pledges Fall Short" del Wri dà ragione all'Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) ed ai Paesi in via di viluppo che chiedono ai "ricchi" di ridurre le emissioni di gas serra dal 25 al 40% per mantenere la CO2 atmosferica sotto le  450 parti per milione e l'aumento della temperatura globale a 2 gradi sopra dei livelli pre-industriali.

«La nostra analisi fornisce un quadro preliminare su dove sia diretto il mondo nella sua corsa verso Copenhagen - ha detto Jennifer Morgan, direttore del climate and energy program del Wri - Mentre gli impegni di riduzione delle emissioni di questi Paesi possono avere un impatto importante e potenzialmente sostanziale, questi non saranno sufficiente a soddisfare le raccomandazioni del Fourth Assessment Report dell'Ipcc. Il WriI esorta pertanto i paesi industrializzati a portare avanti impegni più ambiziosi per ridurre le loro emissioni di gas serra».

Anche la Netherlands environmental assessment agency ha dichiarato che i Paesi ricchi dovrebbero aumentare di almeno il 10% io loro obiettivi di riduzione di gas serra se vogliono davvero mantenere l'aumento di temperatura a 2 gradi, il limite "magico" posto dal G8 e dal Major economies forum. Secondo il Wri (e l'Ipcc) anche con lo scenario 450 ppm, il rischio che la temperatura salga di oltre 2 gradi resta comunque del 52%.

Il rapporto del Wri prende in considerazione gli impegni assunti da alcuni dei paesi sviluppati dell'Annex I del Protocollo di Kyoto, Unione europea, Giappone, Russia, Nuova Zelanda, Australia, Norvegia, Bielorussia, Ucraina e Canada, ed include anche gli Usa (che il protocollo non lo hanno firmato) basandosi sulle riduzioni di emissioni previste dal Clean energy and security act approvato dalla Camera dei Rappresentanti a giugno.

Si tratta del 98% delle emissioni prodotte da tutti i Paesi industrializzati e lo studio utilizza tre parametri per confrontare impegni di ogni Paese: riduzioni pro capite; riduzioni dell'intensità di emissione, riduzione assoluta. La riduzione prevista tra il 10 e il  24% si basa sull'inclusione o l'omissione di fattori come il cambiamento d'uso dei suoli, i dati forestali (land use, land use change, forestry - Lulucf) e "low vs. high pledges".

Il rapporto sconta la mancanza di dati sui reali meccanismi di riduzione delle emissioni in alcuni Paesi come il nuovo impegno del Giappone, e quelli di Russia e Bielorussia (che come Paese "ricco" è molto discutibile) che devono ancora chiarire come (e se) rispetteranno i loro impegni per le compensazioni internazionali e il Lulucf.
Lo studio sottolinea che se gli impegni non saranno rispettati al loro livello più alto «Le riduzioni supplementari richieste tra il 2020 e il 2050 sarebbero molto significative, con un taglio delle emissioni di  2,5% all'anno per raggiungere l'obiettivo dell'80% rispetto ai livelli del 1990 entro la metà del secolo».

Il Wri raccomanda che «I paesi sviluppati dovrebbero portare avanti impegni più ambiziosi. I negoziati di Copenhagen devono prendere decisioni per l'emergenza e  per prevedere revisioni scientifiche periodiche per consentire di assumere impegni più ambiziosi di riduzione delle emissioni, secondo i dettami della scienza».

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