[08/10/2009] News

I costi e le reali potenzialitą del Ccs secondo l'Istituto nazionale di geofisica

GROSSETO. L'Unione europea ha dichiarato pochi giorni fa la necessità di triplicare i fondi pubblici destinati al finanziamento della ricerca energetica e una parte di questi dovrebbe essere rivolta al progetto di riduzione delle emissioni di carbonio dell'80% entro il 2050.
L'Unione ha ribadito l'importanza di aumentare i finanziamenti destinati all'incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili e alla riduzione delle emissioni vista la necessità di competere con le politiche energetiche proposte da Usa e Giappone, ormai molto avanti nello sviluppo di tecnologie pulite. Pertanto si prevede di assegnare entro il 2020, un finanziamento di 16 miliardi di euro all'industria solare, 6 miliardi al settore eolico e 9 miliardi all'industria delle biomasse e dei rifiuti. Tra i progetti da finanziare entrano anche quelli di cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica (CCS) cui dovrebbero venir assegnati 13 miliardi, mentre 7 miliardi andrebbero all'industria del nucleare e 30 dovrebbero essere destinati alla progettazione e alla costruzione di 30 città ad alta efficienza energetica.

Ma come verranno gestite queste risorse? Per quanto riguarda la cattura, stoccaggio e monitoraggio del carbonio l'Istituto nazionale di geofisica (Ingv) , presieduto da Enzo Boschi, ha le idee molto chiare, espresse dallo stesso presidente e da responsabile dell'unità funzionale "Geochimica dei fluidi, stoccaggio geologico e geotermia", Fedora Quattrocchi, nel corso della tavola rotonda che la "Fondazione Bellona Europa", in collaborazione con la "Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile", ha organizzato a conclusione della tre giorni della Ccs Expo nell'ambito di Zero Emission2009.
«Per i primi 20-30 anni di mercato, tutto ciò che è trasporto e stoccaggio geologico di Co2 sia gestito e monitorato dallo Stato - ha detto Boschi - Ai privati solo l'onere della cattura e semmai delle infrastrutture in superficie. Solo dopo l'avvio di questo periodo di sviluppo e ricerca, anche i privati potranno accedere al mercato del sottosuolo. Questo principio dovrebbe essere valido non solo per lo stoccaggio di Co2, ma anche per quello delle scorie nucleari, gas naturale e geotermia profonda a bassa entalpia».

I motivi che stanno dietro a questa  posizione ce li ha spiegati  proprio Fedora Quattrocchi.

«La situazione energetica si sta complicando in quanto si stanno evidenziando con sempre maggiore forza le necessità di individuare siti di stoccaggio geologici, non solo per la CO2 ma anche per le riserve strategiche di metano, siti profondi per geotermia a bassa entalpia (es. tecnica Hot dry rocks) e adesso, con la volontà di tornare al nucleare, anche per le scorie ad alta radioattività che ne derivano. Un sistema complesso che non può rimanere in mano al mercato privato perché questo non si autoregola. Quindi è necessario operare un'adeguata pianificazione per individuare quanti siti servono, quali caratteristiche devono presentare e per far questo è indispensabile ad una scelta dei siti ed a un monitoraggio che, se fatto da istituti pubblici offre maggiori garanzie sia in termini di minor costo che di maggiori competenze, come richiesto anche dall'annesso due della direttiva europea Ccs, pubblicata mesi or sono, oltre ad offrire maggiore affidabilità dal punto di vista dell'accettazione sociale. Fatto questo i privati potrebbero lavorare con regole, standard e prototipi che lo Stato detta, per la parte relativa alla realizzazione degli impianti per di stoccaggio, mentre la cattura ed eventualmente anche le pipeline di trasporto della CO2 rimarrebbero di pertinenza ingegneristica dei privati».

Quindi i privati avrebbero anche maggiori garanzie sui costi?

«I privati si ritroverebbero così a gestire risorse certe (soldi di Stato per caratterizzazione sottosuolo prima e gestione strutture di stoccaggio di superficie dopo), messe a competizione tramite gare pubbliche e non sarebbero costretti a dover anticipare grandi quantità di denaro per studi di fattibilità preliminari, rapporti con le autorità locali, ambientalisti e assicurazioni: di tutto questo si occuperebbe lo Stato che metterebbe a gara per i privati ed  in fasi diverse: studi di fattibilità siti, competenze di comunicazione strategica con  le popolazioni/autorità locali, messa in opera di tubi, compressori e pozzi, gestione sito stoccaggio in superficie, caricandosi lo Stato i rischi, i rapporti con  i politici "cangianti", le assicurazioni, il monitoraggio di breve e lungo termine. A quel punto un investitore moderno e lungimirante, non deve rischiare più con le banche, e sempre giustificare che lui è piccolo o e grande, ma vincerebbe la sua gara pubblica avendo subito soldi certi e sicuri e non a rischio, basta che il curriculum (direzione tecnica) che valga, per le aziende piccole e dinamiche come per quelle grandi, perché non sono più richiesti i capitali di investimento e recupero dai danni possibili dello stoccaggio: il gestore rimarrebbe gestore delle parti in superficie, es. con pressioni di pompaggio via via accordate con lo Stato e senza più rischi. La responsabilità dei danni (micro-sismicità indotta, etc... ) rimane dello Stato.

I privati sarebbero avvantaggiati dal fatto che gli standard altamente scientifici (ma non ridondanti, tipici delle proposte private) del monitoraggio e sarebbe semmai lo Stato ad accollarsi gli eventuali rischi che lo stoccaggio geologico profondo potrebbe comportare. I siti di stoccaggio sono da considerarsi beni primari, come gli acquiferi  e quindi bisogna operare con la massima accuratezza, per questo è bene che il monitoraggio dei siti lo facciano gli Istituti pubblici. I privati potrebbero operare in un primo momento solo sulla parte relativa alla cattura-infrastrutture, e poi solo in un secondo momento quando cioè tutta la struttura sarà a regime dopo dalle periodo ricerca e sviluppo, potranno anche gestire i sistemi in profondità0187.

Ma quali sono i costi?

«Il 70% della spesa è nella cattura ed Enel che è uno dei candidati per i progetti che verranno finanziati dall'Unione europea si è reso disponibile ad accollarsi i costi, ma non crediamo sia disponibile a farlo anche per lo stoccaggio, perché sino a che i costi della CO2 saranno così bassi, attualmente a 15 euro a tonnellata, non c'è alcuna convenienza. Inoltre qualsiasi tipo di  stoccaggio  geologico è una tecnologia cosiddetta learning by doing, ovvero che si impara facendola quindi ci sono dei rischi, anche si piccoli e quantizzabili. Per quanto riguarda il nostro paese è ipotizzabile che per abbattere il 50% delle emissioni di CO2 siano necessario individuare circa cinque siti, con circa 20 pozzi. Per i costi di essi si può ipotizzare la necessità di 2 milioni di euro a sito, cui poi vanno aggiunti i costi di monitoraggio, manutenzione, e ovviamente di trasporto/cattura».

 

Lei pensa che questa tecnologia potrebbe essere comunque utile al di là dell'utilizzo per fare il cosiddetto carbone pulito?

 

«Certo, pensare al Ccs solo come tecnologia abbinata alle centrali elettriche è riduttivo, perché è compatibile con tutte le altre tipologie di emissioni, dai termovalorizzatori, raffinerie alle acciaierie e cementifici. Emettono tutte anidride carbonica che può essere catturata e confinata nel sottosuolo. Anzi è una tecnologia che da questo punto di vista ha grandi potenzialità».

L'Unep ha recentemente presentato un documento in cui sostiene che le 10 tonnellate di carbonio prodotte dalle attività antropiche a livello mondiale potrebbero essere ridotte del 15% e probabilmente più, con una migliore gestione delle terre e degli ecosistemi. Le che ne pensa?

«Che bisogna tenere bene in conto degli ordini di grandezza, non solo noi geochimici ma anche i cittadini. Ricordo che un paio di anni fa il ministero dell'Ambiente disse, in un incontro alla Fao, che se l'Italia procedesse a una massiccia riforestazione potrebbe abbattere 10 milioni di tonnellate di CO2 in 10 anni. Una quantità che con quattro iniettori può essere sequestrata definitivamente sotto terra - a 800 metri di profondità- anche in meno di un anno».

La Toscana si era resa disponibile a studiare la fattibilità di siti di stoccaggio di CO2 nelle aree geotermiche, è una ipotesi fattibile?

«La Toscana l'abbiamo studiata ma non è idonea, perché per la sua posizione geologica ha troppe sorgenti naturali di CO2 con minima copertura impermeabile, quindi se noi andiamo ad aggiungerne nel sottosuolo l'effetto che si ottiene è una maggiore fuoriuscita dalle vie di fuga che già esistono naturalmente».

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