[07/10/2009] News

Il sogno degli scienziati di esplorare i fondali marini alla ricerca di depositi metalliferi è un incubo per la sostenibilità

GROSSETO. Lo scorso mese di settembre si è tenuto a Davos, in Svizzera, il World Resources Forum, un appuntamento in cui si è fatto il punto sulla questione dei flussi di materia per capirne l'attuale intreccio tra i metabolismi sociali rispetto a quelli naturali e di cui ne ha ampiamente parlato in un suo articolo su greenreport Gianfranco Bologna.

«La dichiarazione finale del Forum - scrive Bologna - che ha visto la partecipazione di tanti illustri studiosi dell'uso delle risorse, è molto chiara: andare avanti con il modello di crescita continua di utilizzo delle risorse della Terra non è possibile, è quindi indispensabile assicurare la stabilità economica alle società umane in un mondo finito modificando profondamente i nostri sistemi di produzione e consumo. E' necessaria una nuova strategia globale per gestire l'utilizzo delle risorse naturali che procuri un accesso equo a tutti per il presente e mantenendo le loro disponibilità per le generazioni future».

Già sappiamo infatti che il trend di estrazione e utilizzo di materie prime a livello mondiale è in continuo aumento e che dal 1980 al 2008 è cresciuta da 40 a 60 miliardi di tonnellate.

Nonostante vi sia stato in questo periodo un miglioramento nell'efficienza di produzione che ha permesso di ridurre di un quarto la richiesta di materie prime per produrre la stessa quota di valore economico, il trend di sfruttamento  non sembra -almeno nelle stime- destinato a ridursi e potrebbe raggiungere 80 miliardi di tonnellate nel 2020 e 100 miliardi nel 2030.

Le indicazioni che emergono da chi studia questi processi riguardano la necessità di tenere in considerazione i limiti delle risorse fornite dal pianeta e quindi di raggiungere una stabilizzazione dell'uso delle risorse che non superi le 6-10 tonnellate pro capite l'anno al 2050, tenendo conto dei livelli demografici che a quella data saranno raggiunti e dello sviluppo delle economie emergenti.

L'obiettivo è ottenere un disaccoppiamento reale e significativo tra lo sviluppo economico e l'utilizzo delle risorse. Per questo raccomandano l'urgenza di raggiungere accordi internazionali per fare in modo che i target globali pro capite di estrazione e consumo di risorse  diventino effettivi non più tardi del 2015.

Ma in tutt'altra direzione sembra invece andare il trend dell'economia che dimentica o inconsapevole di essere un sottoinsieme dell'ecologia e spinta dall'istinto primario dell'homo tecnologicus, di fronte al sempre più scarso ammontare delle risorse utilizzabili sulle terre emerse, si attrezza per andare a cercarli in territori ancora poco esplorati.

L'ultima frontiera dell'homo tecnologicus sembra adesso rivolta all'esplorazione dei fondali delle masse oceaniche e marine che rappresentano una quota considerevole (il 70 % del pianeta) e che potrebbero rappresentare nuovi territori di conquista per la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti di minerali e gemme. Ne dà notizia il Sole24Ore oggi parlando della joint venture tra AngloGold e De Beers finalizzata proprio al sogno deli "scienziati degli anni '50" ovvero le estrazioni sottomarine alla ricerca di depositi metalifferi.

L'auspicio di chi si orienta verso queste indagini è che i nuovi progressi tecnologici aiutino a superare gli ostacoli che, nei successivi tentativi compiuti in tal senso nel corso dell'ultima metà del secolo scorso, avevano sempre impedito di andare avanti.

Difficoltà che anche oggi non sembrano certo facili da superare né tantomeno superate, come dimostrano i tentativi di esplorare questi ambiti del pianeta per la ricerca di giacimenti petroliferi e con costi talmente elevati - soprattutto in periodi di crisi economica- che spesso hanno frenato anche i più accesi entusiasmi e i tentativi già avanzati come è accaduto alla società canadese Nautilus, che aveva già avviato accordi e stava progettando una nave per esplorare i fondali di fronte a Papua Nuova Guinea di un deposito a 1600 metri di profondità dove si ipotizza la presenza di giacimenti di minerali quali oro, argento zinco e rame.

La crisi ha fermato tutto per il momento, ma c'è da credere che progetti di tal genere riprenderanno presto, a meno che proprio la crisi non serva ad accelerare l'evoluzione dell'homo tecnologicus in homo ecologicus. 

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