[05/10/2009] News toscana

La (pessima) realtà del lavoro in Toscana

FIRENZE. La storia recente del rapporto tra lavoro e classi sociali in Toscana, tra politica, istituzioni e mondo del lavoro, diceva che difficilmente il lavoro sarebbe tornato al centro di uno schieramento riformista. Abbiamo sostenuto ancora 5-6 anni fa che in Toscana esisteva (come dato oggettivo) un rilevante (almeno nei numeri) "aggregato" composto da lavoro dipendente e autonomo che si poteva definire sinteticamente come lavoro versatile ad elevata conoscenza, come base di una nuova prospettiva sociale ed economica. Così non è stato, la politica non è stata in grado di dare risposte concrete ai mutamenti forzati che stavano intervenendo sul e nel lavoro.

Oggi nel pieno della crisi il quesito di chi potrà sostenere una riqualificazione sociale e produttiva della Toscana capace di portare la conoscenza al centro di uno sviluppo locale sostenibile si ripropone in tutta la sua urgenza, ma nella consapevolezza che l'occasione può essere mancata e sia vissuta come trasformazione epocale passiva, con conseguenze negative sul corpo sociale e sulla sua tenuta.

A Firenze, ma anche nel resto della Toscana (dati ORML) aumentano sempre più i contratti di lavoro a breve durata peggiorando la qualità del lavoro. Al tempo stesso le previsioni dell'occupazione volgono al peggio e la Toscana sta perdendo occupati ad un tasso medio 2009 tra il 2 e il 4% (Unioncamere-Ministero del Lavoro), in particolare nei distretti industriali. Per fare uno stipendio che si avvicini alle necessità si moltiplicano i casi di doppio e triplo lavoro contribuendo a peggiorare non solo la qualità professionale del lavoro (quasi del tutto inesistente) ma anche le condizioni in cui le prestazioni sono "erogate" (bell'eufemeismo di sfruttamento del lavoro). Tutto questo avviene in un contesto, che dura da diversi anni, in cui si è venuta a creare anche in Toscana una impressionante disuguaglianza di ricchezza e di reddito.

Ma ancora una volta i cassintegrati e i licenziati, i giovani che hanno perso il lavoro a termine e precario, se e quando torneranno su un posto di lavoro troveranno la fabbrica, l'ufficio, il call center, ecc., profondamente mutati in cui verranno chiamati ad essere estremamente flessibili ma con funzioni sempre più impoverite, vuote.

Non c'è più il mestiere, le capacità non sono necessarie, il controllo sulle macchine e sui processori è quanto di più ripetitivo e banale. La prospettiva è un salario purché sia non per conquistare nuove libertà e dimensioni di vita ma per far fronte all'omologazione consumistica.

Come ci siamo arrivati? In Toscana fino a un decennio fa il fenomeno è stato più lento (indicatore indiretto è costituito dalla sostanziale stabilità degli iscritti al sindacato) poi le cose hanno preso un rapido diverso andamento. A guardare i dati dell'ORML dal 2004 in poi si va ad una media di assunzione di lavoratori parasubordinati di oltre 200.000 a semestre, il grosso costituto da contratti a breve termine. E pur scontando che in molto casi si tratta di rinnovi degli stessi ci vuole poco a capire la rapidità con cui è avvenuta la trasformazione degli occupati, delle loro aspettative e del loro rapporto con il lavoro e la società, e il cambiamento di status in un mercato del lavoro composto circa 1,5 milioni di persone e che cambiava a questi ritmi. A queste condizioni è possibile una ricomposizione su nuove basi del mondo del lavoro? Come?

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