[02/10/2009] News

Il confine che non avremmo dovuto oltrepassare - di Gianfranco Bologna

ROMA. Nell'editoriale del Sole 24 Ore di domenica scorsa (27 settembre) l'economista Francesco Giavazzi così commenta i risultati del G20 : "Una svolta importante nel governo dell'economia del mondo, una soluzione intelligente al problema del compenso dei banchieri, ma eccessiva cautela nel disegnare nuove regole per le banche. In questi tre punti si riassumono i risultati del G20 di Pittsburgh".

Il comunicato finale del vertice ricorda che "la nostra forte risposta ha aiutato a fermare il dannoso e rapido declino dell'attività globale e a stabilizzare i mercati finanziari" e che l'obiettivo è ora assicurare "una crescita forte, sostenibile ed equilibrata". Il documento finale riporta un intero paragrafo su energia e cambiamenti climatici in cui si sottolinea l'importanza dell'efficienza energetica e dell'uso delle fonti rinnovabili e si fa presente la possibilità di eliminare gli ancora esistenti sussidi ai combustibili fossili e la necessità di ridurre le emissioni di gas che modificano la composizione chimica dell'atmosfera incrementando l'effetto serra naturale. Il coraggio e la capacità politica di innovazione e cambiamento su questi temi è purtroppo totalmente inadeguato alla sfida che la realtà ci pone quotidianamente sotto gli occhi.

Ed è proprio paradossale che l'ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica "Nature" , uscita nei giorni del G20 ha pubblicato un documento di grandissimo valore non solo scientifico, frutto della collaborazione di 28 tra i maggiori scienziati delle scienze del sistema Terra e della scienza della sostenibilità, tra i quali il premio Nobel Paul Crutzen. Il lavoro è dedicato a sottolineare come il nostro impatto sui sistemi naturali stia facendo preoccupare l'intera comunità scientifica, perché in molte situazioni siamo vicini a dei punti critici (a delle vere e proprie "soglie"), oltrepassati i quali gli effetti a cascata che ne derivano possono essere devastanti per l'umanità. Per questo motivo i 28 scienziati indicano quelli che loro definiscono "i confini del pianeta" (Planetary boundaries) che l'intervento umano non può superare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i sistemi sociali.

L'articolo su "Nature" si intitola "A Safe operating space for humanity" (Nature, vol,461; september 2009; 472-475).
Il rapporto ricorda che la specie umana ha potuto godere negli ultimi 10.000 anni (nel periodo geologico definito Olocene dell'era Quaternaria) di una situazione, pur nelle ovvie dinamiche evolutive che interessano tutti i sistemi naturali, di discreta stabilità delle condizioni che ci hanno consentito di incrementare il numero di esseri umani ed anche le nostre capacità di utilizzo e trasformazione delle risorse.

Oggi invece, secondo la comunità scientifica (come abbiamo più volte ricordato in questa rubrica) ci troviamo in un nuovo periodo, definito proprio dal premio Nobel Paul Crutzen, Antropocene, così chiamato a dimostrazione di come la pressione umana sui sistemi naturali del pianeta sia diventata talmente pesante da essere paragonabile alle grandi forze geologiche che hanno modificato la terra durante l'arco di tutta la sua vita.
Gli studiosi ci ricordano che esiste un grave rischio per l'umanità dovuto all'inaccettabile cambiamento prodotto da noi stessi nel passaggio dall'Olocene all'Antropocene.

Questa pressione è oggi a livelli veramente elevati, come ci dimostrano tutte le ricerche del Global environment change (il cambiamento ambientale globale) oggetto di approfondite analisi da parte di tutti gli scienziati del sistema Terra (vedasi il sito www.essp.org). Pertanto i 28 scienziati individuano nell'analisi pubblicata su "Nature" che rimanda ad un rapporto più esteso che sta per essere pubblicato sulla rivista "Ecology and society" (vedasi www.ecologyandsociety.org) nove grandi problemi planetari e sottolineano che per tre di questi le ricerche svolte sin qui dimostrano che siamo già oltre il "confine" che non avremmo dovuto sorpassare.

Queste nove problematiche sono: il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell'azoto e del fosforo, l'utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell'utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l'inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.
Per tre di questi e cioè cambiamento climatico, perdita di biodiversità e ciclo dell'azoto, come dicevo, siamo già oltre il confine indicato dagli scienziati. E gli studiosi indicano per ognuno di questi tre grandi ambiti il confine proposto. Per il cambiamento climatico si tratta sia della concentrazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera (calcolata in parti per milione di volume -ppm -) che del cambiamento del forcing radiativo, cioè per dirla in maniera molto semplice la differenza tra quanta energia "entra" e quanta "esce" dall'atmosfera (calcolato in watt per metro quadro).

Per la concentrazione di anidride carbonica nel periodo pre industriale, eravamo a 280 ppm, oggi siamo a 387 e dovremmo scendere, come obiettivo, al confine già superato di 350 (immaginatevi la portata della sfida di questo limite che, tra l'altro, non è oggetto di discussione per la conferenza di Copenaghen, dove si parla di percentuali di riduzioni di emissioni di gas climalteranti che porterebbero a concentrazioni di CO2 nella composizione chimica dell'atmosfera ben superiori alle 350 ppm indicate . Per quanto riguarda il forcing radiativo in era preindustriale è calcolato zero, oggi è 1.5 watt per metro quadro, il confine accettabile viene indicato dagli studiosi a 1 watt per metro quadro.

Per la perdita di biodiversità si valuta il tasso di estinzione, cioè il numero di specie estinte per milione all'anno. A livello pre industriale si ritiene che questo tasso fosse tra 0.1 e 1, oggi viene calcolato a più di 100, deve invece rientrare, come obiettivo, nel confine ritenuto accettabile di 10.
Per il ciclo dell'azoto si calcola l'ammontare di azoto rimosso dall'atmosfera per utilizzo umano (in milioni di tonnellate l'anno). A livello preindustriale si ritiene che tale ammontare fosse zero, oggi è calcolato in 121 milioni di tonnellate l'anno, mentre il confine accettabile, come obiettivo, viene indicato in 35 milioni di tonnellate annue. Così gli studiosi indicano i confini, dove lo ritengono possibile, anche per gli altri sei ambiti prima ricordati (per ogni ulteriore informazione è bene visitare il sito dell'autorevole Stockholm resilience centre www.stockholmresilience.org i cui direttori Carl Folke e Johan Rockstrom sono tra gli autori del rapporto)

Il ragionamento che conduce ai Planetary boundaries è lo stesso che ci porta alle indicazioni delle quote di natura che abbiamo più volte trattato in questa rubrica.
D'ora in avanti sarebbe bene che ai G8, ai G20 e ai tanti altri forum internazionali gli scienziati qualificati che quotidianamente si occupano di tali problemi studiandoli a fondo nelle loro dinamiche, vengano finalmente invitati ed ascoltati.

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