[30/09/2009] News

L'Indonesia annuncia tagli di gas serra dal 26 al 41%. Esultano gli ambientalisti, in difficoltà i Paesi ricchi

LIVORNO. Dopo Cina, India e Giappone, l'Indonesia è l'ultimo grande Paese asiatico ad annunciare un piano per il taglio delle sue emissioni di gas serra. Il governo del più popoloso Paese islamico del mondo si dice disposto a ridurre del 26% le sue emissioni, un punto percentuale in più di quanto previsto dal nuovo governo democratico del Giappone.

Un impegno in questo senso il presidente indonesiano, Susilo Bambang Yudhoyono, lo aveva già promesso il 25 settembre al vertice G20 di Pittsburgh, ma l'Indonesia lo ha reso pubblico al vertice climatico in corso a Bangkok.

Al G20 Yudhoyono aveva spiegato che l'Indonesia si era decisa per un piano di azione nazionale sui cambiamenti climatici «in grado di ridurre entro il 2020 le nostre emissioni da Bau (Business as usual) del 26%». Nel gergo dei negoziati internazionali sul clima, per livelli "business as usual" ci si riferisce a cosa accadrebbe se le emissioni aumentassero allo stesso ritmo di quello che ha accompagnato la crescita economica in passato.

Ma il presidente Yudhoyono è andato ben oltre: «Con il supporto internazionale l'Indonesia potrebbe ridurre le emissioni fino al 41%. Questo obiettivo è del tutto realizzabile perché la maggior parte delle nostre emissioni provengono da problemi legati alla silvicoltura, come gli incendi delle foreste e la deforestazione. Stamo anche esaminando diverse possibilità per giungere entro il 2050 alla riduzione di miliardi di tonnellate di CO2. Entro il 2030 provvederemo a cambiare lo status delle nostre foreste da settore emettitore netto a "sink sector" netto».

Si tratta certamente di una svolta, visto che l'Indonesia è uno dei principali distruttori di foresta pluviale del pianeta e che, secondo alcune stime, deforestazione e cancellazione di torbiere e zone umide porterebbero il grande arcipelago ad essere il terzo più grande emettitore mondiale di gas serra. La deforestazione è responsabile di circa il 20% delle emissioni mondiali di gas serra di origine antropica e la salvaguardia delle foreste è uno dei pezzi più importanti del puzzle climatico.

I corposi tagli di gas serra previsti dall'Indonesia dovrebbero essere ottenuti attraverso un mix di fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica e riduzione della deforestazione e il 26 - 41% in meno sarebbe molto di più del 15 - 30% previsto per i Paesi in via di sviluppo nelle bozze di accordo per Copenhagen in discussione nella capitale thailandese.

Un impegno confermato da Agus Purnomo, capo della delegazione indonesiana ai Climate change talks di Bangkok: «Vogliamo solo dire al mondo che, anche se la maggior parte degli obblighi ricade principalmente sui Paesi industrializzati, l'Indonesia, come vittima del cambiamento climatico, vorrebbe fare qualcosa per evitare che si aggravi».

Musica per gli orecchi di Noeleen Heyzer, vice-segretario generale dell'Onu e a capo dell'Economic and social commission for Asia and the Pacific dell'Onu, che ha sottolineato: «Nel corso degli ultimi sette anni, la regione Asia-Pacifico ha subito l'80% delle perdite globali legate a eventi meteorologici estremi. Il cambiamento climatico è destinato ad aumentare sia la frequenza che l'intensità dei fenomeni meteorologici estremi come pure il numero delle vittime a loro legate. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo della regione sono di fronte due le sfide legate tra loro: lottare contro la povertà e superare il cambiamento climatico. Fallire in una sfida comprometterà gli sforzi per poter affrontare l'altra. La transizione verso una low carbon economy è già in corso nella regione, ma richiede ancora massicci investimenti».

A Bangkok il Wwf ha reso noto un sondaggio che evidenzia che gli investitori dimostrato un «sostegno significativo» per un accordo internazionale sul clima che contenga un sistema di incentivi per i Paesi che salvaguardino le loro foreste.

La decisione indonesiana rischia di spiazzare i paesi industrializzati, che si sono detti disponibili a tagli che vanno a dal 15 al 25% (con il 30% massimo e condizionato alle altrui decisioni dell'Ue), molto meno del 40% in tempi brevi che gli scienziati ritengono necessario per tenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi.
Gli Usa, dopo le aperture obamiane, rischiano di trovarsi nuovamente in retroguardia con un misero 17% di tagli di gas serra proposto e che il Congresso potrebbe anche non approvare prima di Copenaghen.

Proprio per questo Climate action network questa settimana ha assegnato il "'Fossil of the day award' agli Usa per evidenziare i ritardi dell'America in materia di lotta al cambiamento climatico.

Gli ambientalisti hanno invece accolto con favore l'impegno dell'Indonesia: «Questo è estremamente positivo, l'impegno di questo Paese in via di sviluppo può far capire al modo che questo è il livello di impegno necessario- ha detto alla Reuters Kim Carstensen, capo della global climate iniziative del Wwf - La cosa ancora più interessante, e che fino ad ora era mancata nei negoziati, è che siano disposti a fornire un altro 15% se otterranno un sostegno finanziario».

Greenpeace spera che le parole di Yudhoyono mettano sotto pressione i Paesi ricchi per costringerli ad agire più velocemente nella lotta al cambiamento climatico: «Questo pone decisamente l'attenzione sulle intenzioni del mondo sviluppato, specialmente su quei Paesi che si sono spesso lamentati che non si sarebbero mossi senza i grandi emettitori del Sud - spiega Paul Winn, forest climate campaigner di Greenpeace International - Inoltre , si evidenzia l'urgente necessità di finanziamento per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adottare ulteriori misure sul clima».

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