[28/09/2009] News

La tempesta Kestana annega le baraccopoli di Manila e irrompe nel summit climatico di Bangkok

LIVORNO. Kestana era stata annunciata come una semplice tempesta tropicale, ma il 26 settembre il governo delle Filippine ha dichiarato lo stato di calamità nella capitale Manila e in 20 province della regione di Luzon. I morti si contano a decine e nessuno sa davvero cosa aspettarsi quando si ritireranno le acque che hanno invaso Manila per le piogge torrenziali che hanno costretto ad evacuare migliaia di persone. Una specie di tragico monito alle delegazioni che stavano per riunirsi nella vicina Bangkok per i Cilmate change talks della road map verso Copenhagen.

Secondo il responsabile del Consiglio nazionale per la gestione delle catastrofi delle Filippine, Gilberto Teodoro, la tempesta  tropicale Ketsana sabato scorso ha battuto il record delle precipitazioni, superando i 344 millimetri del 1967. Questo violento acquazzone si è scatenato su una terra fragile ed ha colpito i più fragili e poveri tra gli uomini: nella Grande Manila e nelle sue baraccopoli infinite e in 33 poveri villaggi dei suoi dintorni tutto è finito sotto un fiume inarrestabile di fango ed acqua e i soccorsi sono resi quasi impossibili dall'interruzione da una quarantina di arterie stradali.

Domenica sera nella regione di Metro Manila e nelle province vicine erano già circa 70.000 le famiglie sfollate, ma i centri di accoglienza organizzati dal governo ne possono accogliere solo 12.000. La maggior parte delle vittime è morta annegata, ma molti sono finiti sotto le frane, soprattutto nelle baraccopoli dell'immensa periferia di Manila, dove è difficile perfino portare cibo e soccorsi. Kestana, che I filippini hanno battezzato Ondoy, ha causato le più grandi inondazioni nelle filippine da 40 anni.

La presidente delle Filippine Gloria Arroyo ha promesso che tutte le vittime verranno soccorse, ma la verità è che nessuno sa quale sia la dimensione umana ed ambientale di una catastrofe nella quale si sono unite un evento atmosferico eccezionale (ma sempre più frequente) e lo sfascio territoriale di una megalopoli senza nessuna programmazione urbanistica. Intanto occorre pensare a garantire la fornitura di energia elettrica, gas e carburante per far continuare a marciare quel che non è andato sott'acqua e soprattutto q vigilare perché i prezzi non schizzino verso l'alto per la speculazione.

Mentre Kestana sembra aver preso di sorpresa le Filippine ed i suoi poveri asserragliati con le loro baracche di plastica e lamiera sulle scivolose colline di Manila,  la Cina già ieri si preparava al suo arrivo, «Kestana, la sedicesima tempesta tropicale dell'anno è stata localizzata a 910 km a sud-est della città di Sanya nell'isola di  Hainan (sud) - avvertiva l'osservatorio centrale meteorologico della Cina - I venti raggiungono i 90 km/h al centro della perturbazione che si sposta verso nord-ovest a 20 km/h. Kestana continuerà a rafforzarsi e dovrebbe perciò toccare le zone costiere del sud di Hainan, poi passare al largo di Hainan per abbattersi, martedi o mercoledi, sulle coste del Vietnam».

Dai Climate change talks di Bangkok arriva il preoccupato appello del Wwf: «Le recenti alluvioni nelle Filippine devono ricordare ai delegati riuniti per i negoziati sul clima di Bangkok, che si svolgeranno da oggi fino al 9 ottobre, che non stanno discutendo una pila di carte, ma decisioni che possono decidere della vita di milioni di persone. Una tempesta tropicale ha scatenato la peggiore alluvione degli ultimi decenni nella capitale Manila e nelle regioni adiacenti, colpendo centinaia di migliaia di persone. Se singole tempeste e alluvioni non possono essere collegate ai cambiamenti climatici, le evidenze scientifiche indicano chiaramente che eventi meteorologici estremi sempre più gravi e frequenti sono già una conseguenza del cambiamento climatico e lo saranno sempre di più».

Gli ambientalisti ricordano che «L'aumento della temperatura media globale deve essere tenuto ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, se si vogliono evitare i rischi inaccettabili di un cambiamento climatico fuori controllo. Le speranze che a Copenhagen sia raggiunto un ambizioso accordo globale sul clima, che possa aiutare a proteggere il pianeta dai danni irreversibili del cambiamento climatico, saranno davvero esili se i negoziatori riuniti a Bangkok non faranno progressi significativi».

Secondo Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italia «Le alluvioni delle Filippine devono ricordare ai politici e ai delegati riuniti per negoziare il trattato sul clima che non stanno discutendo di paragrafi, rettifiche e dollari, ma delle vite di milioni di persone e del futuro stesso del nostro pianeta. Dopo mesi di contrattazioni, perdite di tempo e discussioni siamo entrati ormai nella fase decisiva dei lavori e abbiamo l'ultima possibilità di salvare l'accordo sul clima. Il vertice Onu sul clima che ha riunito i Capi di Stato a New York la scorsa settimana ha dato ai negoziatori il mandato di trasformare il documento provvisorio di 170 pagine in un trattato condivisibile. Per assicurare la sopravvivenza delle nazioni più vulnerabili al cambiamento climatico, è assolutamente necessario che questo mandato sia rispettato. I delegati hanno il chiaro mandato di lavorare a velocità da record per accelerare l'elaborazione dei testi Forse gli obiettivi e i finanziamenti più importanti saranno definiti solo a Copenhagen, ma questo non può essere una scusa per perdere tempo. Almeno per le questioni più cruciali il terreno di lavoro deve essere preparato qui. Serve chiarezza su quali siano gli elementi chiave per raggiungere un accordo sul clima a Copenhagen».

Il Wwf teme che a Copenhagen si evidenzi la differenza tra una «leadership asiatica credibile e la retorica vuota di Europa e Stati Uniti. Mentre i Paesi chiave dell'Asia stanno offrendo un contributo concreto per raggiungere un accordo a dicembre, Europa e Stati Uniti stanno invece dimostrandosi i principali ostacoli perché ciò avvenga. Giappone, Cina e India hanno definito un'azione concreta per la mitigazione e stanno giocando un ruolo sempre più costruttivo nei negoziati, confermando la propria determinazione a diventare i futuri leader economici del mondo sulla base dell'economia verde e di uno sviluppo a basso contenuto di carbonio».

La Midulla evidenzia che «Il Giappone si è impegnato a ridurre le emissioni del 25% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. L'Indonesia ha deciso di mantenere la crescita delle emissioni tra il 26% e il 41% al di sotto delle normali previsioni entro il 2020. Questi impegni stanno portandoci sempre più vicino agli obiettivi di riduzione delle emissioni globali di cui abbiamo bisogno. Sia l'Asia industrializzata che quella in via di sviluppo stanno trovando la propria strada verso la prima linea dell'azione mondiale per il clima. Ora i Paesi industrializzati, e soprattutto gli Stati Uniti, devono seguire quell'esempio, e dopo le opportunità mancate di New York e Pittsburgh, Bangkok rappresenta una nuova possibilità di farsi avanti».

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