[17/09/2009] News

Altro sangue italiano nel pantano della guerra afgana

LIVORNO. Il terribile attentato che per le vie di Kabul ha fatto strage dei parà del 186esimo della Folgore svela una cosa che chi ci governa e molti di coloro che fanno opposizione ci hanno nascosto: siamo in guerra, siamo in una guerra cominciata con la scusa dell'11 settembre e della caccia ad Osama Bin Laden (che è ancora uccel di bosco), ma in realtà pensata e voluta per mettere in sicurezza le vie del petrolio dell'Asia centrale verso l'oceano indiano e poi verso gli Usa. Una guerra che presto si é trasformata in un'operazione Nato (molto lontana dai suoi confini e dalla sua presunta area di difesa) in appoggio all'America che ha visto pesantemente vacillare non l'Afghanistan (ormai ridotto ad uno stato fantasma che riunisce principati retti da tagliagole/narcotrafficanti) ma il bastione del Pakistan, con le sue armi nucleari e la sua essenziale posizione geo-strategica.

Siamo in una assurda guerra americana, voluta da Bush e che Obama si trova a dover continuare per forza, giurando che non diventerà il suo nuovo Vietnam, siamo in una guerra che doveva essere a bassa intensità, fatta di droni in volo a colpire i talebani, con gli eserciti più potenti del mondo a controllare città e vallate, mentre il presidente Karzai avrebbe dovuto ricostruire la parvenza di uno Stato democratico che l'Afghanistan non ha mai conosciuto e che probabilmente non vuole.

La caccia a Bin Laden si è presto trasformata in una guerra di posizione in un pantano dal quale, la storia lo insegna, nessuna potenza mondiale è mai uscita vincitrice, né l'impero britannico, né l'Unione Sovietica,  probabilmente non ce la farà nemmeno l'America con la sua santa alleanza.

I nostri militari straziati nelle vie di Kabul sono le ultime vittime sacrificali del sogno folle dei neoconservatori americani dell'esportazione della democrazia con i carri armati (che somiglia tanto al socialismo dei blindati sovietici), armi ed alta tecnologia contro un esercito di straccioni che le bombe vanno a scovare dentro le grotte più segrete o in villaggi di fango disperati, magari mentre si celebra un matrimonio o si ruba un po' di gasolio dai camion in panne della Nato.

Soldati alieni e stranieri che si muovono con le loro moderne armi in un medioevo islamico armato di kalashnikov, bombe e fanatismo, finanziato dal narcotraffico. Una guerriglia sempre più presente e appoggiata localmente, tanto che la parola talebani è ormai riduttiva per rappresentare il sempre più vasto fronte anti-occidentale che si è saldato contro la presenza straniera nel Paese.

Una valanga di fuoco, odio e rivalsa scesa dalle montagne nelle quali si erano asserragliati i talebani e tracimata nelle città, fino a raggiungere le valli tagike ed uzbeke del nord dalle quali iniziò (ben foraggiata dagli Usa) la cacciata del Mullah Omar da Kabul.

Una presenza che le ultime elezioni truccate (e poco partecipate) vinte da Karzai e finanziate dall'occidente hanno reso ulteriormente indesiderata.

Non è un caso che il nuovo premier democratico del Giappone abbia detto nel suo discorso di insediamento che negozierà il ritiro delle sue truppe dall'Afghanistan perché li c'è una guerra.

La costituzione Giapponese ripudia la guerra proprio come quella italiana, è una scelta frutto dell'amara medicina del fascismo e del nazionalismo guerresco che i nostri due popoli sono stati costretti a trangugiare fino alla fine della seconda guerra mondiale.

Ma la guerra ora è nelle strade di Kabul e colpisce gli italiani che dovrebbero essere in Afghanistan in missione di pace. Una guerra che ha già ucciso 21 dei nostri soldati, che presidiano quei deserti e quei monti ghiacciati in difesa di una popolazione che non li vuole e di un governo di integralisti, signori della guerra e capi tribali che vive trincerato nei palazzi del potere che tratta la sua sopravvivenza con contrabbandieri di oppio, i fustigatori di donne e gli stessi talebani.

Forse l'Afghanistan non sarà il Vietnam di Obama, ma l'Italia farà meglio a riconsiderare la sua presenza in una palude ormai intrisa di sangue dei nostri soldati e dalla quale non si intravede via di uscita, né militare, né politica.

Torna all'archivio